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venerdì 16 aprile 2021

Sintesi storica tratta dai Vecchi e Nuovi Materiali per una Storia di Seminara. Vers. 5.5.43 del 16.4.2021

 

 

 

Sintesi storica

tratta dai Vecchi e Nuovi “Materiali

per una Storia di Seminara”

 

Sommario: 1. Primordi. – 2. Elementi di continuità. – 3. La chiesa di Santa Barbara e dei Santi Cosma e Damiano nell’anno 1325. – 4. Vita ed istituzioni nelle lettere patenti di Luigi III d’Angiò (1421-1434). – 5. Il primo giuspatronato: S. Pietro. – 6. Le chiese del Quattrocento. – 7. – Le fonti documentali delle mura di Seminara. – 8. La visita al monastero di S. Filareto nel 1457. – 9. Il monastero di S. Fantino nel 1457. – 10. Il monastero di S. Giovanni di Lauro nel 1457. – 11. La fondazione del Sacro Monte della Pietà di Seminara. 12. Le liti del Cinquecento. – 13. Seminara e i suoi casali. – 14. Il codice Marco: il documento più antico della Collegiata. – 11/1. Le ossa del duca Spinelli ai Cappucini. –  15. Schiavi negri a Seminara nel 1635 ed altre notizie tratte dal libro battesimale oggi conservato nella stanza del tesoro. – 16. La fondazione dell’Insigne Collegiata. – 17. Una cronaca del 1684: l’omicidio di Pietro Aquino. – 18. I Ruffo a Seminara: il giuspatronato della chiesa di Sant’Antonio. – 19. La battaglia di Torre Spinelli. – 20. Le liti del Settecento. – 21. Le liti del Settecento: tra Regolari e Basiliani nel 1761.– 22 Le liti del Settecento: fuga in convento! – 23. Il catasto onciario del 1746. – 24. Dati toponomastici tratti dal catasto onciario. – 25. Lo stato miserevole della città di Seminara nell’anno 1756. – 26. Da un volume notarile del 1768. – 27. Prima e dopo il 1783: notizie tratte del libro dei morti 1773-1784. – 28. Le chiese di Seminara alla vigilia del terribile terremoto. – 29. Il deplorabile anno 1783 nelle pagine del Libro dei morti. –  30. Sepolture nella chiesa di S. Maria dei Poveri: notizie tratte dal Libro dei morti 1791-1797. – 31. Il ritorno della vita civile dopo il terribile flagello. – 32. Vita sociale nella seconda metà dell’Ottocento: il circolo “l’Unione”. – 33. Il carro religioso di Seminara. – 34. Gli ultimi anni della Congregazione di Carità. – 35 Il tentativo di distacco della frazione di S. Anna – 28.2 Scioglimento del Consiglio Comunale di Palmi nel 1903. – 36 Un “raggio di luce” del 1911. –  37. I "sovversivi" seminaresi schedati nel Casellario Politico Centrale. – 38. La prima generazione di sovversivi. – Alampi Domenico – 39. I due Putrino del Casellario Politico Centrale. – 39. I "sovversivi" seminaresi davanti al Tribunale speciale per la difesa dello Stato. – 40. L’attività comunista in Seminara nel 1934. – 41. I Catanzariti. – 42. Un seminarese caduto nella guerra civile spagnola: Domenico Nocito. – 43. L’incendio della chiesa dei Cappuccini.

 

1. Primordi. – Sembra si possa ragionevolmente ritenere che Seminara si sia originata dall’antica Taureana, andata definitivamente distrutta dall’incursione saracena del 951[1]. Le testimonianze sono concordi in tal senso[2], pur mancando (o non essendo a noi nota) una chiara fonte contemporanea al tragico evento. Taureana era sede vescovile e la sua distruzione ne comportò immediatamente il trasferimento in altro luogo, ovviamente interno al territorio dell’antica diocesi. Un’ulteriore questione da appurare sulla base di fonti attendibili ed adeguatamente discusse è l’esistenza di Seminara come castello o terra castellata della stessa Taureana[3].

 

2. Elementi di continuità – Ebbe a dire una volta lo storico Cingari, invitato ad un Convegno in Seminara, che chi si dedica alla ricerca storica prendendo ad oggetto l’evoluzione delle comunità locali calabresi, in tutte le loro manifestazioni, si imbatte fatalmente in una sensazione di decadenza. Ciò è vero anche, e forse particolamente, per Seminara.

 

3. Le chiese di Santa Barbara e deo Santi Cosma e Damiano nell’anno 1325. – La chiesa di Santa Barbara è inclusa nell’elenco delle chiese distrutte dal terremoto del 1783 fatto da Tiberio Aquinio. Una migliore documentazione sulla sua esistenza e datazione possiamo ricavarla dai registri parrocchiali, dove trovamo il nome della chiesa fin dai più documenti dell’archivio stesso. Infatti, nell’anno 1609 leggiamo che Francesco Capuferro in detta chiesa celebrava il suo matrimonio con Franciscella Avellino (I, 12v). Il luogo ed il toponimo è perciò certo, sulla base dei documenti parrocchiali, almeno a partire da questa data, coincidente con i più antichi documenti parrocchiali conservatisi, non anteriori purtroppo al 1609. Altri matrimoni nella stessa chiesa si celebrano negli anni 1609, 1611, 1614, 1615, 1617, 1618, 1619, 1620 (p. 64v-bis), dove alla pagina è nitidissima la scritta “Barbara”, 1622, 1625, 1626, 1657, 1658. Ma è più interessante quanto emerge dal regesto Vaticano per la Calabria, curato da padre Russo, dove si ha notizia di un chierico di nome Andrea, che era appunto un cappellano di Santa Barbara. Se trattasi della stessa chiesa che risulta dall’Archivio storico della Collegiata, abbiamo in tal caso una notevole retrodatazione della sua esistenza al 1325, che fa di tutte le chiese elencate dal Tiberio la più antica di cui si possa avere documentazione (v. reg. vat. N. 4530). No! Per lo stesso anno e nello stesso contesto è fatto il nome della chiesa “de Pauperibus”, accanto ad altre di cui non si ha notizia successiva, e cioè: dei Santi Cosma e Damiano, di Santa Lucia,

 

4. Vita ed istituzioni seminaresi nelle lettere patenti di Luigi III d’Angiò (1421-1434). –9) 1423, 10 agosto, I - Roma

Dal regesto del duca di Calabria Luigi III d’Angiò che abbracciano un arco di tempo di 13 anni, dal 1421 al 1434, si ricavano notizie sulla storia seminarese del Quattrocento. Lo scudiero Luigi Galeota è nominato il 10 agosto 1423 capitano e castellano della terra e castello di Seminara e del relativo distretto con la facoltà di potervi nominare un sostituto e di assumere un giudice, un assessore ed un notaio[4]. Il cognome Galeota non è fra quelli che si sono conservati in Seminara. È probabile che non vi sia stato radicamente in Seminara di un ceppo familiare facente capo a questo primo capitano di cui si ha notizia. Le sue attribuzioni sono quelle indicate dalla lettera patente. Resta da verificarne e documentarne l’effettivo esercizio[5]. Ancora nello stesso anno, in data 3 ottobre, da altra lettera patente indirizzata ad Antonio di Fuscaldo luogotenente di Luigi III apprendiamo come questi dovesse “provvedere alla restituzione in favore di Giovanni Vanni di Sant’Angelo della terra di Seminara concessa da re Ladislao e dalla regina Giovanna a Saladino di Tommaso di Sant’Angelo e caduta in potere di Alfonso d’Aragona”[6]. A parte i nuovi personaggi storici di cui apprendiamo l’esistenza (e di cui cercheremo di sapere di più) risulta evidente il fatto che Seminara si trovò pienamente coinvolta nella guerra fra aragonesi ed angioini.

Di una signoria dei Ruffo su Seminara apprendiamo da una lettera patente del 7 dicembre 1423 con la quale Luigi III d’Angiò promette di confermare a Covella Ruffo, duchessa di Sessa, e contessa di Montalto, Squillace e Alife, tutti i feudi, beni e terre da lei posseduti, compresi la terra di Seminara ed i feudi di Parma e Piacenza[7]. Seguono altre conferme, dove tuttavia il nome della terra di Seminara non è fatto espressamente[8]. Qualche problema Seminara doveva avere con i nobili di Oppido, se in data 2 maggio 1424 è vietato al nobile Giovanni di Oppido di occupare il territorio di Seminara e di estrarne legumi[9]. Ma è interessante la conferma di un ceto ebreo in Seminara, di cui si ha notizia non documentata in una pubblicazione a stampa di epoca recente. In data 27 maggio Luigi III Concede al medico ebreo Giuda Raffato di Seminara la facoltà di poter liberamente esercitare l’arte medica nel ducato di Calabria, sempre che sia stato riconosciuto abile dal dottore Giorgio de Lya di Reggio[10]. Del Casale di Sant’Opolo si ha notizia fin da quest’epoca, venendo confermato nello stesso giono a Nanno Scaglione di Teramo e ai suoi eredi il possesso del feudo detto di “Sant’Opolo” sito nelle pertinenze di Seminara, concessogli dal re Ladislao[11]. Altro toponimo già esistente in quest’epoca è la località oggi detta piani della Corona. Infatti si conferma nello stesso giorno a Giacomo de Megiis di Seminara il possesso del tenimento detto “De Corona” nelle pertinenze di Seminara, il cui reddito ascendeva a sei salme di frumento e a sei tarì all’anno[12].

 

5. Il primo giuspatronato: S. Pietro. – Dai dati incrociati provenienti dai Registri di Luigi III e dal Regesto Vaticano di padre Russo otteniamo un barlume su quella che poteva essere la vita socio-economica nella Seminara del primo Quattrocento. Per un verso il sovrano Luigi III conferma a tal Giacomo de Megiis in data 27 maggio 1424 il possesso di un “tenimento” che si trovava in località “de Corona”, il cui toponimo esisteva dunque già in quest’epoca ed è oggi localizzato nella parte alta di Seminara, nella frazione di Barritteri. Costituisce un’ampio territorio pianeggiante detto “Piani della Corona”, dove ora passa l’autostrada. Dalla stessa fonte apprendiamo che il tenimento fruttava un reddito stimato in sei salme di frumento ed in denaro sei tarì all’anna. La zona era dunque all’epoca coltivata a frumento, almeno in parte. Dalla fonte vaticana, in data 7 maggio 1421, apprendiamo che lo stesso personaggio, detto Jacobo de Mogiis, aveva per moglie una tale detta Ciancia, senza altra indicazione di nome o cognome. Ad entrambi viene concessa una indulgenza di un anno e 40 giorni. Jacobo ha fondato e dotato con diritto di giuspatronato una chiesa intitolata al Beato Pietro Apostolo. Il toponimo S. Pietro esiste ancora in località S. Anna, ma occorrono altri elementi documentali per collocarne qui l’origine. Di una chiesa con il titolo di S. Pietro non si hanno altre conferme.

 

6. Le chiese del Quattrocento. – Dalle fonti vaticane ricaviamo un elenco delle chiese esistenti in Seminara all’inizio del Quattrocento. Ci riesce più difficile, per il momento, distinguere se si tratta di chiese annesse a monasteri o conventi oppure di chiese a se stanti. In uno stesso contesto ne vengono nominate tre della sola Seminara in un elenco di chiese tenute a versare censi per il mantenimento della scuola di grammatica e di canto che si veniva istituendo in Mileto. Le chiese o manasteri suddetti sono: S. Andrea, S. Ippolito, S. Giovanni di Lauro. Siamo nell’anno 1438 e nessuna di queste chiese comparirà nella prima metà del Seicento, quando dai libri parrocchiali, cioè nei Matrimoni o nei Defunti, diventa abituale indicare il luogo del matrimonio o della sepoltura. A queste chiese va aggiunto il giuspatronato di S. Pietro.

 

7. – Le fonti documentali delle mura di Seminara. – Notizie certe dell’esistenza di una cinta muraria intorno alla città di Seminara si hanno a partire dal 1463, benché possa supporsi che essi siano ben più antiche. Dal regesto vaticano per la Calabria di padre Russo apprendiamo così che in data 12 maggio 1463 che il monastero di S. Filareto si trovava “extra muros terrae Seminariae”. Il riferimento si trova in un contesto nel quale il monastero veniva all’epoca unito al priorato di S. Eufemia, il cui titolare era tal Sergio Seripando. Allo stato, delle ricerche non abbiamo altra documentazione sulla cinta muraria, sulla sua estensione, sulle porte. Dati certi potrebbero venire dalla rilevazione archeologica, ma mancano soggetti ed istituzioni per per questo tipo di ricerche e dobbiamo quindi affidarci a tutte le indicazioni marginali ed occasionali che possono giungerci dai documenti archivistici ed in particolare dalla ricca serie notarile ancora supertite in Palmi presso la locale Sezione di Archivio di Stato.

8. La visita al monastero di S. Filareto nel 1457. – Il Chalkéopoulos ci informa di essersi recato in ispezione il 7 dicembre 1457 al monastero basiliano di S. Filareto, le cui rovine si trovano oggi a circa cinque km. dalla porta oggi detta di S. Antonio, che probabilmente già all’epoca della visita apostolica costituiva l’ingresso principale alla città fornita di cinta muraria. L’impressione che si ricava dal racconto della visita è di un processo di decadenza già allora in atto. Riportiamo il resoconto originale traducendo e sunteggiando dal testo latino. Nel monastero si trova l’abate Paolo di Messina con cinque monaci: i frati Atanasio, Macario, Arsenio, Ilario e Bissario. Interrogato, il fratello Atanasio parla bene dell’abate Paolo. Lo conosce da due anni e lo trova “morgeratum, pudicum et honestum”. Non dice messa a causa della sua vecchiezza, ma la fa servire validamente. È un uomo di buona coscienza che tratta bene e da eguali i monaci; mangia insieme a loro. Fa tutto quello che costituisce suo dovere e agisce bene tanto a vantaggio dei monaci quanto del monastero. Interrogato su frate Bissario lo stesso frate Atanasio dice del confratello che teneva buona condotta prima che fosse morto il precedente abbate che si chiamava – apprendiamo – Anicio. Corre voce che conobbe una tale di Seminara e la ingravidò ottenendone una figlia. Trascorre la maggior parte del tempo fuori del monastero, a Seminara, nell’edificio della chiesa, mangiando e bevendo con secolari e di tanto in tanto giuocando “ad rollum” (?) e facendo altre enormità. Degli altri monaci frate Atanasio dice che godono di buona fama e sono tutti ubbidienti all’abate.

Frate Macario, interrogato a sua volta, dice di frate Atanasio che ha fama di essere un ladro, avendo rubato duecentoventi ducati all’abate Anicio. Udì ciò dalla madre dell’abate la quale sorprese in flagrante il frate mentre entrava dalla finestra. Frate Bissario aggiunge circa frate Atanasio che corre voce di una sua relazione con una tale di Seminara di nome Caterina.

Il Visitatore si occupa quindi di redigere un inventario dei beni del monastero. Fra le voci di inventario figurano in particolare: un calice di argento, di un altro calice si dice che “est in pignore pro tarenis XII”, un calice di peltro, una croce di legno dorata, uno scrigno dove si trova il braccio di san Filareto, dove pure si trova una cassetta con dentro il Corpo di Cristo, due coltri di altare di seta, undici tovaglie di altare, cinque botti: tre piene e due vuote, una vita di san Simeone, cioè un codice, un libro dove è in parte trascritto Omero ed in parte Aristofane, una tragedia di Euripide, l’Ecuba, un libro di pergamena lacerato, un libro di papiro lacerato, scartoffie in numero di diciotto, una cassa “cum certis privilegiis et scripturis”, una “caldara”, un “paro del lenzuli”, un “caldarune”, un “mataracio vechu et certa alia suppelletilia”.

La visita iniziata il 7 dicembre si conlcude il 24 dello stesso mese dell’anno 1457 con l’emissione di una serie di capitoli ed esortazioni per imporre che si celebri l’ufficio divino nelle debite ore, che i monaci prestino obbedienza all’abate e nulla facciano senza sua licenza, consenso e volontà, né si rechino “ad terram Seminarie” o senza il suo mandato, che vivano onestamente e castamente, al di sopra di ogni sospetto, che non possiedano nulla di proprio, che abbiano ogni cosa in comune e sotto la potestà dell’abate. Parimenti l’abate deve amare i monaci come suoi figli spirituali e trattarli con grande carità. Sono previste sanzioni in caso di inadempienza.

 

9. Il monastero di S. Fantino nel 1457. – Il Liber Visitationis di Atanasio Chalkéopoulos ci informa di una visita al monastero di S. Fantino mentre il Visitatore soggiornava in S. Filareto. Lo deteneva un certo Pertello di Seminara, il quale sosteneva di avere un “beneficium seculare”. Gli fu ingiunto a nome della Camera apostolica di mostrare con quale diritto e quale titolo tenesse il monastero di S. Fantino. Il Visitatore dice di essere stato nel monastero e di aver visto tutto circondato da spine. Era di grande costruzione ed era stato uno dei migliori monasteri di questa parte della Calabria, ma ora nell’anno della visita, cioè il 1457, era in rovina.

 

10. Il monastero di S. Giovanni di Lauro nel 1457. – Mentre abitava in S. Filareto il Chalkéopoulos estese la sua visita ispettiva oltre che al monastero di S. Fantino anche a quello di S. Giovanni di Lauro, dove non trovò segni di rovina e di abbandono. Era abate Jerolimum, indicato come “bonus et perfectus homo”. Anche in questo caso, nella stessa data del 24 dicembre 1457, diede capitoli che l’abate di S. Giovanni di Lauro doveva impegnarsi a rispettare sotto pena che il Visitatore poteva infliggere a sua discrezione.

 

       11. La fondazione e l’evoluzione del Sacro Monte della Pietà di Seminara. – Apprendiamo dal de Sarno che in seguito a disposizione testamentaria di Marcantonio di Leone del 20 marzo 1584 era prevista l’erezione in Seminara di un sacro monte sul modello di quello dell’Annunziata già esistente in Napoli. Esecutore testamentario fu nominato Niccolò di Reggio, parente del testatore e cittadino seminarese. Dopo aver composto una lite con i fratelli del de cuius, i quali acconsentivano a liquidare la somma di mille e cento ducati come parte spettante al fratello defunto, l’esecutore testamentario umiliava supplica al viceré dell’epoca, il conte della Miranda, perché potessero venire realizzati i desideri del testatore. Dopo i necessari preliminari e quindi dopo aver ottenuto le relative autorizzazioni, il Monte di Pietà veniva fondato in Seminara nel 1588 con gli stessi statuti del Monte della Pietà dell’Annunziata già esistente in Napoli. A reggerlo erano quattro Governatori, due del ceto dei patrizi, due del ceto dei civili. Così ininterrottamente fino all’anno della lite e della memoria che di essa scrisse il de Sarno nell’anno 1756. Sempre dal de Sarno apprendiamo (p. 21) che i libri dei “pegni e dispegni del Sacro Monte della Città di Seminara” incominciano dal 1595. Su questa data può verificarsi ciò che ancora oggi di questa documentazione è giunta fino a noi, dopo il recente restauro di un fondo archivistico in anni recenti appena salvato dalla distruzione. Questi libri sarebbero preziosi per lo studio della storia economica seminarese del Seicento e Settecento.

Lo stesso Autore ci informa che nell’anno 1742 risulta dal catasto onciario un patrimonio di quasi sessantamila ducati ed una rendita di tremila ducati annui. Al patrimonio sono da aggiungere altri beni acquistati dal 1742 fino al 1756. Tale patrimonio era secondo il de Sarno “bastantissimo” per impegnare i pegni del seminaresi e degli abitanti dei casali circonvicini. Le spese del Monte erano quasi nulle per “lo mantenimento del luogo”, ossia con ogni evidenza della sede, che quindi doveva essere di proprietà dello stesso Monte e comportare scarse spese di gestione. Gli amministratori era remunerati con la somma di cento ducati annui. Come termine di paragone si può considerare che nella stessa epoca il canonico procuratore della Insigne Collegiata di Seminara era remunerato con trenta ducati annui ed il bilancio annui della Collegiata ammontava a circa trecento ducati. Il nostro Autore ribadisce perciò che per una piccola città del Regno la rendita di tremila ducati la somma di tremila ducati è anzi “troppo bastante per impegnare qualunque pegno per la sua indennità e per la mercede de’ suoi Ministri ”. L’argomentazione concludeva che “per una consuetudine inveterata di centasettantacinque anni, e per altre ragioni di sopra addotte non dee in conto alcuno il Sacro Monte della Pietà della Città di Seminara esigere somma di denaro quantunque menomissima a ragion d’interesse”.

 

12. Le liti del Cinquecento. – Si ha notizia dal de Sarno di una lite subito insorta dopo la disposizione testamentaria di Marcantonio di Leone del 20 marzo 1584, con la quale il testatore intendeva devolvere la sua parte di beni della famiglia di appartenenza alla erezione di un sacro monte della pietà in Seminara. La lite riguardava l’entità della quota spettante al fratello defunto. Esecutore testamentario era Niccolò di Reggio, parente del defunto e cittadino seminarese. Si giunse ad un accordo e fu riconosciuta una somma di ducati 1100 che costituirono la dotazione iniziale dell’istituto di credito che con il tempo accrebbe il suo patrimonio fino a superare la somma di sessantamila ducati. Altra lite di cui si ha notizia documentata è connessa all’episodio Marcantonio Capitò. Era costui un “frate selvaggio” che dopo aver commesso l’ennesimo suo reato si rifugiò in una chiesa di Seminara, chiedendo asilo. Il Capitano della guardia lo catturò egualmente ed innestò in tal modo un conflitto giurisdizionale con il vescovo di Mileto.

 

13. Seminara e i suoi casali. – In una nota di Andrea di Sarno redatta nell’anno 1756 si annoverà un solo casale di Seminara, quello di S. Anna. Il Monte di Pietà, del quale discorre principalmente il de Sarno, era sufficiente ai bisogni finanziari di Seminara e del suo casale appunto di S. Anna. Del casale di Palme si dice che si era ormai “dismembrato” dalla madrepatria. Degli atri tre casali, di cui ha notizia da altri scrittori, il de Sarno – nell’anno 1756 – neppure fa menzione. Nel codice Marco (v. più avanti) si fa invece menzione agli inizi del Seicento oltre che di S. Anna e della terra di Palme anche di S. Opulo.

 

14. Il codice Marco: il documento più antico della Collegiata. – Con il nome di “codice Marco” (improprio in mancanza di meglio) è da noi chiamato convenzionalmente il più antico documento rinvenuto nel corso di riordino ed inventariazione dell’Archivio storico della Collegiata. ‘Marco’ è la prima parola con cui inizia il documento giunto fino a noi. Il fascicolo non è certamente integro. Non è possibile sapere di quante pagine fosse composto. La prima data che si legge è il 1608. La sua piena intelligenza non è priva di difficoltà. Seguendo un nostro metodo generalmente seguito in questa “Sintesi” evitiamo di proposito di azzardare interpretazioni che non siano adeguatamente fondate. Non indulgiamo al gusto di stupire il lettore. Ed anche con questa prudenza non siamo sicuri di evitare errori interpretativi che potendo ci riserviamo di correggere in una successiva stesura. Da questo documento, del quale vogliamo in ogni caso dare doverosa informazione, ai nostri venti lettori, cerchiamo qui di trarre le informazioni per ora possibili, magari modeste ma almeno certe.

Intanto la datazione del documento precede la fondazione stessa della Collegiata, avvenuta intorno al 1655. In genere, i documenti dell’Archivio giunti fino a noi riguardano la stessa Collegiata. Con il codice Marco, di poco più di una ventina di pagine, recto e verso, siamo a circa mezzo secolo prima, fatta eccezione per l’anagrafe parrochiale, per la quale va fatto altro discorso. Si tratta di una sorta di libro contabile, probabilmente di un registro di riscossione dei censi dovuti alla chiesa maggiore, poi divenuta Insigne Collegiata continuando a percepire i censi già dovuti alla chiesa parrocchiale. Una prima informazione che si può ricavare dal prezioso libretto è l’elenco dei nomi, almeno di quelli che possiamo leggere con sufficiente certezza e che riportiamo in ordine alfabetico subito di seguito: d’Alessandro, d’Arena, Bellafacce, Calabrò, Calogero, Capoferro, Caracciolo, Clementi, Cosentino, Currao, Di Caro, Di Fiore, Filippone, Furuni, Giannetta, Giofré, Grimaldi, Guardata, Lamari, Laporta o La Porta, La Manna, La Scala, Marinello, Martello, Martino, Martire, Marzano, Mezzatesta, Milignano, Muscari, Paysano, Palumbo, Papalia, Paparone, Pinnacchio, Rinaldo, Rodinò, Russo, Sant’Agata, Saffioti, Schimizzi, Solano, Sopravia, Spinelli, Spoliti, Vitetta, Tamborino, Teramone, Tigani, Tuppo, Valente, Zagari, Zillepa.

I nomi che precedono si riferiscono sia ai soggetti del pagamento sia ai nomi indicati come limitanti delle proprietà per le quali si paga il cenzo sia ai testimoni dell’obbligazione contratta. Con l’occasione forniamo, quando disponibili e leggibili, un elenco alfabetico dei toponomi contenuti nel documento: a) luoghi rurali: l’Agliazzo, Castagnara la guardia, S. Lucia, li Maddi, la Paterna, lo fego, quaranta, lo Trodio; b) luoghi urbani: contrada rosaci, contrada la chiesa madre, contrada lo Rosario, santa Barbara in Mauriconi, contrada S. Maria delli poveri seu lo Rosario, lo Portello, contrada S. Leonardo, contrada la chiesa nova, la Motta, san Cosimo e Damiano, santa Maria della Consolazione; c) incerti se rurali o urbani: Santa Venera, santo Petro. Per i toponimi urbani pare di poter dedurre che di norma la chiesa omonima dava spesso il nome ad una contrada. Essendo le chiese storiche di Seminara venti o trenta, è facile immaginare quale potesse essere la toponomastica cittadina dell’epoca. Ai toponimi va aggiunta la menzione del casale di S. Anna, dove la chiesa madre aveva pure case sopra le quali riscuoteva censi. Di “Palme” è invece detto un Virgilio Sopravia, dal quale la chiesa madre percepiva censi dovuti per una “vigna”. In Palme è perfino intestato l’obbligo contratto da Annibale Riccio detto di Palme per un fondo e “sopra una casa dentro questa terra di Palme in contrada Marinello”. La denominazione Palme ricorre con maggiore frequenza di S. Anna o S. Opulo. Da notare poi in generale che per un immobile posto “dentro” la città è adoperata più volte l’espressione “casalino”, accanto a quello più ricorrente di “casa”, talvolta con l’attributo “dotale”. Per il termine casa troviamo più volte la specificazione di luogo adibito ad abitazione. Per “casalino” non troviamo, per il momento, un contesto che ne faccia intendere la destinazione o l’uso che se ne faceva. Ovvero troviamo (p. 26b) un cenzo sopra un “casalino” posto all’interno della città in contrada rosace e confinante con altri immobili denominati tutti come “case”, tra cui una dello stesso compratore. Del “casalino” si dice che era “da fabbricare” e che non avrebbe poi potuto essere né venduto né alienato.

I “censi” erano pagati sia su abitazioni sia su fondi agricoli. L’obbligo era contratto davanti a testimoni la cui firma è apposta in calce. Qualche volta si specifica che la casa si trova “dentro” la città e ne viene data la contrada, che però non si riesce a leggere (forse ‘rosace’, p. 2 recto e verso). Essi venivano pagati nelle mani del “rettore” che sovrintendeva alla venerabile chiesa madre. Ne è fatto anche il nome: Luca Paparone. E siamo nell’anno 1608[13]. Il Paparone, benché indicato con il titolo di abate,  è detto “rettore” della chiesa madre. È interessante come sia presente nel documento la netta distinzione fra l’ufficio e la persona che pro tempore si trova a dirigerlo[14]. I pagamenti vengono fatti alla parocchia per mezzo della persona fisica del suo rettore, che riceve appunto nelle sue mani il denaro. Anzi, in seguito, è indicata la sola istituzione come beneficiaria del pagamento. Il documento, contenuto per lo più in mezza pagina, termina con la firma (o il segno di croce) in calce dei soggetti contraenti e quasi sempre con il nome leggibile Spinelli. I censi sono perpetui, cioè senza scadenza e sempre dovuti, anche dagli eredi del fondo o della casa. La formula che in genere si adopera negli atti notarili per indicare la proprietà piena di un bene è l’espressione “libero e franco”, riferita ad un fondo o ad una abitazione. Nella platea Aquino si accenna ad una sorta di truffa, per la quale l’acquirente scopre in un secondo tempo che la proprietà in questione era invece gravata da cenzo perpetuo.

La presenza dell’olivocoltura non sembre massiccia e prevalente come oggigiorno. Troviamo una volta la specificazione di un cenzo dovuto da Fabio Vitetta per carlini 10 sopra un fondo dotale arborato in contrada S. Opulo, che era uno dei cinque casali di Seminara. Un’altra volta si parla insieme di olivi, viti e gelsi. Una terza volta troviamo un uliveto confinante con un fondo di gelsi. Questi ultimi paiono più frequenti delle colture ad olivo. Addirittura si parla di un “fondo arborato di gelsi con dui pedi di olivi ed altri arbori sito in contrada Santa Vennera” (p. 27b). Ma in quest’ultimo caso è pure detto che il cenzo doveva essere pagato in “dieci micanni di oglio di oliva bono”. Compare come notaio estensore dell’atto originario lo stesso prima detto illegibile e forse Lattanzio Riego, che qui roga nel 1569.

L’arco temporale del documento va dal 1608 in poi fino al 1620, da p. 1a a p. 21. Il documento termina con una “Nota delli legati, censi ed altre cautele della venerabile ecclesia parrochiale di questa città di Seminara”, che prosegue fino a p. 28 per interrompersi bruscamente. L’entità della somma pagata è spesso di 5 grana, che corrispondeva al cenzo per mezza casa, ma anche 7 grana pagati da tale Aloisio Furuni per una casa in contrada lo Rosario limite il casalino di Andriotta Paparone. Tre e mezzo è il “fitto” per un’altra abitazione in contrada S. Basilio. La somma pagata poteva essere di ordine superiore, cioè in carlini, e perfino qualche ducato. Non mancavano pagamenti in natura: dieci “micanni” di olio d’oliva, una salma di mosto, del grano bianco misurato pure in “micanni”. Appunto perché perpetui, i censi potevano essere assai antichi, tanto antichi che poteva perdersi memoria del titolo originario della loro costituzione. Troviamo così nell’anno 1608 un impegno di pagamento di sei carlini di competenza come sua parte sottoscritto da Fabrizio Mezzatesta[15]. Il titolo costitutivo dell’obbligo lo si trova più avanti, in una sorta di appendice. Per esso Giulia moglie di Luca Mezzatesta aveva lasciato ai suoi figli ed eredi, Annibale e Fabrizio, l’obbligo di pagare come cenzo perpetuo sei carlini annui alla cappella della stessa Giulia esistente dentro la chiesa madre. Tale obbligo veniva fissato con testamento del 1574 stipulato presso il notaio Sangiorgi.

Una distinta analisi e descrizione richiede la “Nota delli legati” sopra citata. Viene intanto nominato il notaio presso il quale si rogò l’obbligo: il notaio Fabio Poeta nell’anno 1591. Ma un altro notaio nominato è Vincenzo Sangiorgi che nel 1573 rogò una disposizione testamentario di Catarinella Napolitano riguardante la celebrazione di due messe la settimana alle quali erano tenuti in perpetuo gli eredi. Per Giula Duca (o Puca) moglie di Luca Mezzatesta aggiungiamo che il peso di sei carlini non era il più oneroso: abbiamo trovato un d’Alessandro impegnato su una altra cappella all’interno della stessa chiesa madre per una somma di dodici carlini. Apprendiamo più avanti (p. 23b) dell’esistenza di un rettore precedente il Paparone. Nell’anno 1571 per atto del notar Pietro Cannistrà riscuoteva censi dovuti alla madre chiesa il suo rettore di nome Militano. Il cenzo era fissato in “dieci micanni di oglio di oliva chiaro e lampante”. Si dice ancora che tale cenzo era dovuto ogni anno “a detta madre chiesa sotto il vocabolo di S. Maria delli Arangi”. E qui non si capisce se si intende in favore della cappella con questa nome nota in epoca più tarda – come parrebbe – oppure se si intenda che la stessa chiesa madre rechi il titolo “delli Arangi”, come pare improbabile. In altro atto troviamo una menzione al notaio Cannistrà attivo nel 1569.

Particolarmente interessante è l’atto per il quale apprendiamo che Giovanni Vincenzo Filippone comrò da terzi, i cui nomi nel documento non risultano chiaramente leggibili,  un fondo arborato con vigna e gelsi in contrada Santa Maria degli Angeli. Per confini sono dati il fondo di Geronimo Tuppo, il fondo della ducal corte di Seminara e l’orto del monastero di S. Maria degli Angeli. Il fondo pare fosse già gravato al momento dell’acquisto di un cenzo di grana diciassette dovuti alla madre chiesa come risulta da istrumento del notaio Cannistrà rogato nell’anno 1569. Altrove apprendiamo di un precedente rettore di nome Antonino Rocco che insieme con Salvo Militano vengono chiamati entrambi reverendi Cappellani e di un notaio Francesco Tuppo operante nel 1567. Di tutti questi notai si è persa traccia ed i loro atti non si trovano fra quelli conservati nella Sezione di Archivio di Stato oggi in Palmi. Nella stessa contrada di Santa Maria degli Angeli che Geronimo Tuppo comprò da terzi una parte di vigna che aveva per confini altra vigna dello stesso Tuppo, altra vigna dotale del terzo venditore, la via pubblica. Si rinvia ad uno strumento dello stesso notaio Tuppo risalente al 1556 ed ad altro notaio del 1555. Di quest’ultimo notaio dal nome illegibile si trovano menzionati atti ancora più antichi, ossia del 1543.

Qualche caso interessante è forse possibile leggerlo con completezza. Così il pagamento fatto da uno Zagari di grana cinque per mezza casa sita entro la città di Seminara, cioè entro le mura, in contrada rosaci. L’altra metà è pagata con distinto atto da Nunzia di Gallo, vedova di Pietro Carcona. Come limite è data l’altra metà della casa occupata da sua “jennero” Vincenzo Zagari, che abbiamo trovato nel precedente documento. Sia lo Zagari sia la vedova pagano ognuno grana cinque e pare proprio di leggere ‘rosaci’ come nome della contrada dove si trovava l’abitazione. Altri pagamenti riguardano spesso delle abitazioni, anche adiacenti alla stessa “chiesa madre”. Ne possiamo dedurre che la parrocchia disponeva di un patrimonio immobiliare dal quale (in termini odierni) riscuoteva regolari fitti. Il cenzo pagato da Fabrizio Mezzatesta, di cui poco sopra, contiene una informazione importante ai nostri fini di una ricostruzione della storia locale. È noto che la Insigne Collegiata è stata fondata, grazie a Domenico Martello, nel 1658. Il titolo della Collegiata è della Immacolata Concezione, che resta ancora oggi al Santuario della Madonna dei Poveri. Ebbene, nell’obbligo sottoscritto da Fabrizio Mezzatesta si dice che si pagano i dovuti sei carlini per la cappella che si trova “dentro detta madre chiesa sotto il vocabolo della S.ma Concezione”. E dunque ne possiamo dedurre: a) che il titolo della Immacolata Concezione era precedente la fondazione della Collegiata; b) che la stessa chiesa madre diventa in pratica Collegiata, assumendo il regime giuridico descritto nel testamento di Domenico Martello; c) che la chiesa madre, ossia lo stesso edificio che sarà poi della Collegiata, esisteva già a far data dal 1574, anno in cui Giulia, madre di Fabrizio Mezzatesta, istituiva con volontà testamentaria il cenzo perpetuo in favore della sua cappella esistente “dentro” la chiesa madre.

Un altro caso interessante riguarda il soggetto beneficiario del cenzo indicato non più nella venerabile chiesa madre, ma nella venerabile cappella di Santa Maria degli Aranci posta dentro la chiesa madre, che dunque doveva essere abbastanza grande da contenere più cappelle: quella dei Mezzatesta e almeno quest’altra detta degli Aranci. Di una terza cappella di una S. Maria dello *** posta dentro la chiesa madre si ha notizia dall’obbligo di ben dodici carlini per peso di messe al quale era soggetto un Marco d’Alessandro. Di una quarta cappella “di marmore” si apprende dall’atto (mutilo) con cui Serafino Clementi con disposizione testamentaria per notar Sangiorgio del 1565 ordinava la sua sepoltura. Un ulteriore caso interessante riguarda una frase il cui contesto non ci riesce di intendere: «et fecero la Chiesa nova che hoggi si chiama la matrice». Si tratta di una nota datata 1614 in margine ad un obbligo datato 1608. Ma più oltre in un atto del 28 settembre 1609 troviamo notizia di un cenzo dovuto per una casa dentro la città in “contrada la chiesa nova”. Ed in un ulteriore atto del 1620 troviamo l’espressione “chiesa matrice” quale beneficiaria del cenzo dovuto. Ci asteniamo qui dal fare facili illazioni e speriamo di imbatterci in qualche ulteriore documenti che ci consenta di fare affermazioni certe sull’attività edilizia in Seminara all’inizio del Seicento. Un diverso e pure interessante caso riguarda il rinvio documentale ad un esistente “libro delle polizze ed altre scritture” per dirimere dubbi sul soggetto beneficiario dell’obbligazione: la madre chiesa, o gli eredi del defunto abate Paparone.

Benché cancellato in quanto trattasi di errore, può leggersi di un pagamento di carlini quattordici e mezzo per “una casa dentro detta città in contrada S. Barbara in Mauriconi”. Più volte si parla di case, poste dentro la città, ma tutte in contrada “la madre chiesa”. Ciò può significare in modo del tutto ovvio che la chiesa madre si trovava nel cuore del centro urbano. Come limite è una volta indicata nella stessa contrada la casa dell’abate Geronimo Longo.

 

15. Le ossa del duca Spinelli ai Cappucini. – Da un documento dato in Regesto da padre Russo[16] apprendiamo che in data 12 ottobre 1610 che al cardinale Filippo Spinelli fu data licenza di trasferire le ossa del padre dall’atrio all’interno della chiesa dei Cappuccini, fondata dallo stesso Duca Carlo. Se leggiamo bene il latino del  documento, si distingue fra un atrio ed un interno della chiesa. Conoscendo la struttura attuale di ciò che resta dell’antica chiesa, la distinzione apre una serie di interrogativi che potranno forse essere risolti dalla lettura del testo integrale e non regestato del documento. E pertanto sospendiamo qui, dopo una semplice menzione, ogni ulteriore analisi e commento.

 

16. Schiavi negri a Seminara nel 1635 ed altre notizie tratte dal libro battesimale oggi conservato nella stanza del tesoro. – Si legge sul più antico libro dei battesimi conservati nell’Archivio Storico dell’Insigne Collegiata di uno “schiavo negro” battezzato con il nome di Carlo Francesco il 21 gennaio 1635[17]. Tralasciando altri dati di cui non si è sicuri per la difficoltà della scrittura si può leggere chiaramente che lo “schiavo” aveva 33 anni di età. Il dato è interessante e si presta a tutte le considerazioni del caso che si lasciano intuire a chi legge. Se fosse il solo caso di “schiavitù” in Seminara ciò potrebbe non essere significativo, ma se ulteriori ricerche consentiranno di individuare l’esistenza altri “schiavi” sarà forse possibile tracciare un quadro dei rapporti sociali nella Seminara del Seicento. Dallo stesso libro dei battesimi – eccezionalmente offerto alla nostra disponibilità – possiamo spigolare qua e là altre notizie rilevanti ai fini di una storia locale. Metodologicamente è però preferibile ricavare i dati storici non in modo episodico, ma seguendo precise linee di ricerca con riguardo ai flussi demografici ovvero ad altri dati omogenei. Comunque sia, soddisfando l’innocente curiosità dei nostri venti lettori diamo una scorsa all’intero volume prima di riconsegnarlo alla custodia della cassaforte. La scrittura ci riesce purtroppo difficile da leggere, ma dove siamo sicuri di aver ben compreso riferiamo ciò che sembra interessante. Il volume consta di circa 160 pagine, recto e verso. Intanto, fra i cognomi leggibili[18] negli anni 1633-1639 si trovano i seguenti, riportati tuttavia senza tener conto della loro maggiore o minore frequenza: Anile, Asprizzi, Avellino, Barritteri, Bellafaccia, Benedetto, Calogero, Caminiti, Capoferro, Caracciolo, Cardillo, Carrozza, Cavallo, Chirchiglia, Chirri, Cianciaruso, Condina, Colichia, Conestabile, Currau, D’Amico, De Luca, Di Alessandro, Di Napoli, Di Paula, Di Vecchio, Evangelista, Filippone, Fiore, Franco, Frisina, Giofrè, Grimaldi, Grio, Guardata, Imbuto, Ioculano, Lamarra, Lamari, Laporta, Latino, Lombardo, Longo, Majsano, Mangiuni, Marafioti, Margiotta, Marinello, Martello, Marzano, Medicina, Mezzatesta, Militano, Mirabello, Morabito, Morganti, Nesci, Palermo, Papalia, Paparone, Poeta, Rinaldo, Romano, Romeo, Russo, Santaiti, Schimizzi, Sgrò, Silipigni, Silvestri, Sopravia, Suraci, Suriano, Teotino, Terranova, Tripodi, Tuppo, Valenti, Vitetta, Zahari, Zangari, Zetera.

Per il lettore che fosse interessato di questioni genealogiche possiamo enunciare il seguente principio, almeno come ipotesi di lavoro: ricorrono nel passato tutti i cognomi esistenti al presente, ma non tutti i cognomi del passato si sono conservati fino ad oggi. Ciò può essere interpretato come un saldo negativo costante nel lungo periodo fra i flussi di emigrazione ed immigrazione. A parte il fenomeno particolare dell’estinzione di famiglie nobili che intendono conservare il patrimonio con una politica di monacazione e di immissione nel clero di componenti del nucleo familiare, sembra che la via dell’emigrazione da Seminara verso tutti gli angoli della terra sia una costante. Le opportunità di lavoro e di prosperità diminuiscono perlomeno a partire dalla prima metà del Seicento, come risulta anche nella tabella di raffronto fra vecchia e nuova numerazione dei fuochi data dal Beltrano nel 1640, che riporta per Seminara un numero di 1427 fuochi (vecchia numerazione) e 1264 (nuova) con un saldo negativo di 163 fuochi.

I nomi del documento battesimale si intendono normalmente come tutti di abitanti in Seminara. Qualche rara volta si indica l’origine forestiera, anche se di località vicina. Così troviamo una Sancta Saffioti detta “di Palmi”[19], importante indicazione che ci avverte come la differenziazione geografica fosse già in atto nell’anno 1634.

La formula dell’atto battesimo è alquanto sobria: il battezzando era “portato al sacro fonte”, ovvero “era tenuto” da qualcuno che lo reggeva. È da presumere che il “sacro fonte” sia quello che si è conservato fino ad oggi, ma allo stato mancano prove documentali al riguardo. Al nome del battezzato seguono normalmente i nomi del padre e della madre, del sacerdote che somministra in sacramento, infine del padrino e della madrina. Ricorre ovviamente con una certa frequenza il nome del sacerdote e ciò consente di ricostruire una specie di anagrafe del ceto ecclesiastico del periodo considerato. Tra i nomi chiaramente leggibili e ricorrenti dei ministri del culto troviamo i seguenti: Giulio d’Arena, Francesco di Franco, Antonio Lamari, Giovan Pietro Poeta, Giovambattista Silvestro. Una formula tipica scelta fra le più leggibili suona: «A 19 luglio 1634. Gioseppe figlio di Antonino Colichia e di Giulia Marinello battezzato per don Antonino Lamari e tenuto al sacro fonte per Geronimo Terranova». Ancora più leggibili le seguenti: «A dì 1 di agusto 1634. Pauolo Dominico figlio di Francesco Topia e di Violante Chirri batizato per don Giulio di Arena lo ha tenuto al sacro fonte Marcantonio Martello et donna Geronima Valenti. Dì primo di agusto 1634»;

La data di nascita coincide normalmente con quella del battesimo, ma quando ciò non accade si trova indicata anche il giorno della nascita. In un caso è specificato che il battezzato “nacque all’istesso giorno”[20]. Qualche volta il padrinaggio è esercitato per procura[21], allegata al volume. Pare distinguersi da consimili procure qualche altro allegato, la cui migliore e sicura intelligenza richiede un più attento e lungo studio[22].

Considerando la qualità delle persone, dal documento di battesimo possono in genere arguirsi le relazioni sociali dell’epoca e la stratificazione dei diversi ceti. Troviamo così, ad esempio, che il neonato Salvatore Giuseppe, figlio di Luca Giovanni Mezzatesta e di Ottavia Romano era battezzato il 25 dicembre 1633 dal reverendo Abate Giovan Pietro Poeta ed aveva per padrino il nobile Giovan Domenico Filippone. In un’altra pagina non riusciamo a leggere tutto il testo, ma possiamo afferrare che un figlio del dottor Francesco di Franco ha per padrino un Grimaldi. Altre volte troviamo accanto al mero nome una qualche specificazione indicante la condizione sociale. Così ad esempio “soro” Nuntia Zetera, il “dottore” Giovan Gregorio Cianciaruso, il “dottor abate” Gilormo Longo, il “dottor” Francesco Marruni.

Frequente è il battesimo di nati “spuri”, cioè fuori da un vincolo matrimoniale dei genitori naturali. In questi casi si indica il solo nome battesimale della madre, a volte anche il cognome e qualche altra informazione, come per il battesimo di Marco Antonio figlio spurio di Giovanna Spoliti serva del quondam Ottavio Spoliti[23]. Di una Domenica spuria non è neppure indicata la madre, ma solo il nome del sacerdote battezzante e della madrina[24]. Interessante è il dato riguardante il neonato Domenico Antonio, per il quale è annotato in margine “spurio” e nel testo è specificato che è “figlio naturale” di un Capoferro e di una Antonia Galluzzo[25].

Il volume fin qui esaminato registra atti battesimali, ma per come restaurato contiene un’appendice di poche pagine riguardante atti di matrimoni degli anni 1657 e 1658, ben distanti cronologicamente dagli ultimi battesimi registrati nella pagina precedente e relativi all’anno 1639. Difficile stabilire la consistenza originaria dei fascicoli riuniti in occasione del restauro. Gli atti di matrimonio hanno una diversa formulazione che esamineremo in altro paragrafo. Si osserva qui che un dato particolarmente interessante è costituito dall’indicazione del luogo dove si celebra il matrimonio. È perciò possibile redigere un elenco delle chiese esistenti in Seminara in anni diversi. Si ricavano per i due anni considerati i nomi delle seguenti chiese: chiesa matrice, dove si celebra la maggior parte dei matrimoni, ma anche: chiesa di S. Domenica, chiesa di S. Maria, chiesa di santo Marco, chiesa di santo Michele, chiesa del Carmine, chiesa di santo Nicola, chiesa di S. Leonardo, chiesa di santa Barbara, chiesa del Rosario. Ben dieci nomi di chiese in sole cinque pagine! Ma rimandiamo altrove una analisi del contenuto informativo che si può trarre dai libri matrimoniali giunti fino a noi.

 

17. La fondazione dell’Insigne Collegiata. – A beneficio del lettore ed a nostro rischio tentiamo di interpretare un atto del notaio De Paula dell’anno 1658 nel quale sono riportate le volontà di Domenico Martello che lasciava un capitale di 12.000 ducati perché venisse fondata la Collegiata di Seminara. Oltre mezzo secolo prima con un atto testamentario analogo era stata fondata un’altra importante istituzione seminarese, il Monte di Pietà, che ebbe pure esistenza secolare. Non sappiamo se il lascito testamentario del Beato Leone abbia ispirato Domenico Martello che destinava il suo patrimonio a finalità pubbliche. Di certo più consistente pare essere il capitale messo a disposizione per la fondazione della Collegiata: dodici mila ducati a fronte di 1.100. Tra i soggetti i cui nomi ricorrono spesso nell’atto notarile sono Emanuele di Franco erede universale del defunto e Maria di Fiore vedova usufruttuaria.

 

18. Una cronaca del 1684: l’omicidio di Pietro Aquino.

 

19. I Ruffo a Seminara: il giuspatronato della chiesa di Sant’Antonio. – I Ruffo di Sinopoli avevano avuto in epoca precedente l’infeudazione agli Spinelli loro proprie mire su Seminara. Nel Seicento quale segno della loro presenza in Seminara troviamo il loro giuspatronato sulla chiesa di S. Antonio, da essi assegnato fra gli altri a don Giacinto Silvestri con bolle vescovili formali del 19 gennaio 1665. Questi succedeva a don Domenico Morabito di Sinopoli, che rinunciava per aver avuto una cappellania nella stessa Mileto. Titolare del diritto di giuspatronato era all’epoca Francesco Maria Ruffo, conte di Sinopoli e Principe di Scilla, rappresentato a Seminara dal fratello Tiberio Ruffo, Principe di Palazzolo e vicario generale degli stati del fratello. A sua volta Tiberio Ruffo aveva un suo procuratore in Seminara nella persona del rev.do D. Domenico Scarano.

 

20. La battaglia di Torre Spinelli. – Dal libro dei morti risulta per l’anno 1671 una battaglia fra cittadini di Palmi e Seminara[26]. Il fatto è narrato dall’estensore dell’atto di morte di un seminarese con grande enfasi retorica. È dato anche il nome del luogo in cui avvenne l’importante fatto storico: una località detta allora Torre Spinelli. Il toponimo esiste ancora e segna il confine tra il comune di Palmi e quello di Seminara. Il tracciato della strada iniziava fino a poco decenni or sono dal trivio che venendo da Seminara gira a sinistra verso il monte S. Elia e prosegue dritto verso Palmi. Subito a destra ci sono oggi dei fabbricati, ma dietro questi fabbricati si ritrova il tracciato dell’antica strada percorribile in geep fino ad immettersi nella strada ‘castagnara a guardia’, non carrabile, ma solo percorribile con fatica a piedi per circa trecento metri fino ad immettersi nella provinciale asfaltata che da Seminara porta a Palmi, arteria principale che unisce oggi i due centri oggi amministrativamente distinti. Combinando insieme notizie diverse, ma certe, possono trarsi le seguenti ipotesi interpretative da suffragare possibilmente con altri riscontri. Intorno all’anno 1671 è databile il “dismembramento” del casale di Palmi dalla città di Seminara. Questa secessione non avvenne pacificamente. Erano in gioco anche interessi economici in conseguenza del progressivo spostamento verso la costa del luogo degli scambi. Il mare era allora la principale via di comunicazione. Divenendo questo più sicuro dai pericoli derivanti dalla improvvise incursioni saracene era fatale in assenza di altri fattori una progressiva delocalizzazione di Seminara come centro di importanza economica. Gli interessi dei seminaresi contrastavano con la volontà dei palmesi di rendersi autonomi o indipendenti, sia pure all’interno del sistema giuridico-amministrativo dell’epoca che bisognerà adeguatamente studiare. Preme qui congetturare che fra palmesi e seminaresi, per i motivi accennati, si venne alle mani, se non proprio alla guerra. Ci scappò il morto, il cui nome è registrato nel libro dei morti, esattamente alla pagina 160. Deve qui essere deplorato come di questo importante fatto di storia locale sono strappate le quattro pagine immediatamente successive: evidentemente un qualche brillante “studioso” – non sappiamo in quale epoca – ha pensato di acquisirle alle sue poco encomiabili ricerche per stupire un suo pubblico con una scienza così turpemente conseguita. In assenza di maggiori dettagli che la fonte mutilata avrebbe potuto fornirci possiamo tuttavia fondatamente congetturare che parte del confine storico fra il territorio di Seminara e quello della ribelle Palmi si sia formato in questa epoca e sia stato magari sancito da un “trattato di pace” seguito al fatto “bellico”. Altra osservazione occorre fare per il toponimo “torre Spinelli”. Malgrado il nome non si ha conoscenza lungo tutto il percorso della strada di una costruzione a forma di torre, o che comunque porti questo nome. Da un punto di vista toponomastico pare strano un luogo così denominato senza che mai vi sia stata una “torre”. È da presumere che questa sia stata distrutta dal tempo e non ne sia rimasta traccia materiale. Questa congettura – così dobbiamo considerarla in assenza di altri riscontri – è però suffragata dal fatto che la parte iniziale della strada si trova in pratica sul monte S. Elia e quindi almeno in questa zona – supponendo che il terremoto del 1783 non abbia alterato in modo rilevante lo stato dei luoghi – avrebbe ben potuto essere stata edificata una struttura di avvistamento a scopo difensivo come in genere erano le torri. Le illazioni qui fatte non vogliono essere dati certi ma indicare a chi scrive o a chi legge possibili direzioni di ricerca su una materia dove e la natura e gli uomini paiono insieme cospirare per cancellare ogni memoria del passato.

 

21. Le liti del Settecento. – Dai documenti finora raccolti abbiamo notizia di almeno quattro liti che occuparono gli animi dei seminaresi del Settecento. Di ognuna di esse daremo notizia in distinti e successivi paragrafi. In questo paragrafo diamo di esse breve anticipazione ed elencazione. Una prima lite, assai ben documentata, riguarda il Monte di Pietà e l’Università di Seminara. Suo oggetto era l’interesse del sei per cento che il Monte pretendeva sui prestiti concessi con garanzia fornita dai pegni. Secondo l’università non avrebbe dovuto pagarsi nessun interesse, essendo così stabilito dallo statuto del Monte fondato dal Beato Leone. Un’altra lite verteva fra i Basiliani e la Colleggiata per l’obbligo fatto ai Basiliani di partecipare alle pubbliche processioni[27]. I Basiliani ritenevano di non esservi tenuti. Una terza lite riguardava il principe Spinelli e la quasi totalità dei nobili per una questione di etichetta sorta durante le feste di carnevale. Di essa narra Tiberio Aquino nella sua platea. Un’ulteriore lite si svolge fra la Collegiata e la curia vescovile di Mileto per una questione attinente agli arredi sacri. Di essa si ha notizia da un documento conservato nell’archivio della Colleggiata.

 

22. Le liti del Settecento: tra Regolari e Basiliani nel 1761. – Troviamo una data di inizio del 28 settembre 1761. Le parti sono rappresentate dal Reverendo Canonico don Paolino Melara, procuratore della Collegiata, e per i Basiliani da Frate Giuseppe Maria Steario dell’Ordine dei Predicatori. L’oggetto del contendere pare sia costituito dall’obbligazione fatta ai PP. Basiliani di intervenire alle pubbliche processioni insieme con i Regolari e di sostenere le spese relative. Obbligo al quale i Basiliani, pur condannati, resistono. Per noi moderni si tratta di capire cosa ci fosse di strano nel fatto di partecipare ad una processione e perché su questo fatto si sia scatenata tanta lite. Si parla di risarcimento delle spese. Il materiale documentario è abbondante. La difficoltà consiste qui nell’estrarre il succo della questione e nello spiegarla ad un lettore di due secoli e mezzo più tardi, i cui interessi possono essere ben diversi dallo spettatore dell’epoca. Intanto si legge di cifre considerevoli dell’ammontare di ducati cento, che è soltanto una delle somme in gioco. Si parla di decreti della Sacra Rota che condannavano i Basiliani. Si tratta qui di una nuova traccia sulla via degli archivi. E’ menzionato anche il denaro del Monte delle Cento Messe. Con riserva di ritornare sulla natura dell’atto interessa intanto la lista dei nomi che chiudono il documento, relativo all’anno 1761: Arcidiacono Gaetano Ranieri, canonico Gregorio Sanchez, canonico Domenico Barba, Gaetano Clemente, canonico Domenico Silvestri, canonico Gaetano Mezzatesta, canonico Felice Vaccaro, canonico Paolino Melara, canonico Matteo Tomeo, canonico Filippo Repace, canonico Concesso Zangari, canonico don Faustino Zangari, canonico Giuseppe Clemente, canonico Michele Rossi, canonico Pasquale d’Alessandro, don Domenico di Luca, Abbate Emanuele Franco, don Lorenzo Laragione, don Domenico Nesci, don Paolo Fontana, don Gioacchino de Luca, don Antonino Ricciardo, don Giuseppe Antonio Russo, don Salvatore Melara, don Domenico Predoti, don Bruno Melara, don Basilio Grio. Tutti costoro erano viventi nel 1761 e costituivano tutto o parte del clero di Seminara. Questa per noi è una notizia che trascende l’oggetto della causa. Si legge anche di una riunione dei regolare nel venerabile convento sotto il titolo del Rosario fatto a suono di campanellab, come era costume. Al precedente documento firmato dai regolari il 29 maggio 1761, forse una proposta di transazione, segue un documento di risposta del regolari firmato il 7 settembre 1761 nel convento del SS. Rosario con i seguenti nomi per noi di rilevante interesse in quanto ci forniscono il nome di persone di cui oggi non si ha più memoria: il priore Fra Giovan Domenico Nesci, fra Giacinto Romeo, fra Clemente Savoja baccilliero, fra Giovan Battista Spanò, fra Vincenzo Condina lettore, fra Giacinto Nicola Barbaro, suddiacono Pasquale Lanzo. Come testimoni: Giuseppe Tomaso, notaio Giuseppe Antonio Lanzo. Segue un atto identico firmato questa volta dai regolari di S. Filareto nello stesso giorno 7 settembre 1761 con i seguenti nomi: Don Domenico Graziani abate, P. D. Basilio Graziani Priore, Padre don Vincenzo Palumbo, padre lettore don Lodovico Petro, Padre Silvestro de Bellis basiliano, diacono don Giovan Crisostomo Cullari, suddiacono don Giacomo Marzano, suddiacono don Angelo Scordino, suddiacono don Pasquale Lanzo. Testimone ancora Giuseppe Tomaso e notaio ancora Giuseppe Antonio Lanzo.

 

23. Le liti del Settecento: fuga in convento! – L’episodio divertente che narreremo per sommi capi per suscitare buon’umore nel lettore lo si apprende dalla Platea Aquino. Accanto al lato divertente esiste però un aspetto più serio e meni divertente che riguarda lo stato patrimoniale della famiglia Aquino intorno al 1743. Petronilla Aquino morendo lasciò un consistente patrimonio che andò a Tiberio Aquino dopo varie liti. L’episodio divertente è il seguente. A cinque mesi dalla morte di Petronilla Aquino, avvenuta l’11 agosto 1743 Girolamo Aquino pensò bene di far sposare il figlio Tiberio che aveva allora 17 anni anni (ora con riserva di verificare la concordanza della date). (Da continuare)

 

24. Il catasto onciario del 1746. – Si tratta di un documento importante per la storia di Seminara. A differenza di altri documenti questo è leggibile pressoché per intero. Il primo nome che incontriamo riguarda un Antonio Masseo, conciatore, di anni trenta, sposato con Marchesa Latino di anni 20, ma già madre di Vincenzo (anni 4) e Gaetano (anni 1). Vivono nello stesso “fuoco” i suoceri Paolo Latino e Domenica Melara, entrambi di anni 60. L’abitazione è di proprietà e si trova nel borgo di Santa Maria. Altri dati non sono chiaramente leggibili perché la pagina è mutilata, ma è già chiaro il genere di dati che possono ricavarsi dal catasto onciario del 1746: nomi delle persone, loro età, composizione del nucleo familiare che ha sempre un capofamiglia, domicilio, attività economica, ed altro. Tutti questi dati opportunamente correlati consentono di avere un quadro socio-economico della Seminara intorno al 1750. Rinviamo altrove uno studio sistematico dei dati complessivamente ricavabili, ed in particolare alla sezione “Dizionari”. Qui ci limitazione ad una informazione di carattere generale, con speciale attenzione a notizie finora inedite o significative.

Troviamo così il nobile don Antonio d’Alessandro che a 28 anni risulta sposato con donna Alfonsina Romano di anni 30, con la quale ha avuto ben otto figli, essendo il più grande di anni 11 ed il più piccolo di anni 1. Se era già sposato al momento del concepimento del primo figlio, il matrimonio con donna Alfonsina dovette avvenire all’età di 17 anni per lui e 19 per lei. Anche il caso precedente del non nobile Antonio Masseo porta a credere che i matrimoni avvenissero in una età che oggi appare piuttosto precoce. A carico del ventottenne Antonio risulta inoltre un fratello di anni 21, don Pasquale, la madre ancora vivente, donna Isabella Maria Longo, di anni 46, e quindi sposa e madre già all’età di anni 18, una nutrice di anni 38, tre serve e due servi. Don Antonio “abita in casa propria sita nel quartiero Belvedere”. La lista dei beni posseduti è cospicua, anche tenendo conto di probabili occultamenti fiscali. Da notare che vigeva pure all’epoca una sorta di detrazione fiscale delle spese sostenute, che per noi oggi sono motivo di interesse. Sono ad esempio segnate in uscita delle somme dovute al sagrestano “della Chiesa dello Spirito Santo per il sono della campana ogni giorno in memoria…”. La Seminara del settecento con le sue trentatré chiese doveva vivere al suono ininterrotto delle campane! Un nuovo elenco delle chiese, dopo quello già redatto sulla base dei libri parrochiali, può venire compilato esattamente per l’anno 1746 sulla base dei riferimenti contenuti nel catasto onciario.

 

25. Dati toponomastici tratti dal catasto onciario. – Rinviando ad altra sede uno studio analitico dei numerosi dati toponomastici ricavabili dal catasto onciario si riportano qui notizie di interesse generale. Intanto è possibile registrare un elenco completo della divisione territoriale-amministrativa dei luoghi interni alla città. Cercheremo di comprendere dai differenti contesti i significati dei termini “borgo” o “quartiere” nonché quello più frequente di contrada. Di ogni abitante è sempre indicata l’abitazione, di proprietà piena o gravata da censi, oppure in affitto. Più spesso la casa è detta “propria” ma ciò non esclude che debbano pagarsi dei censi, spesso ad istituzioni religiose. Poiché di ogni casa è detto anche dove si trova è possibile ricostruire un elenco dei quartieri o dei borghi esistenti in Seminara nella 1746. Il termine “borgo” o “quartiere” pare usato in senso proprio e mai in modo promiscuo. Pertanto i due termini dovrebbero indicare due distinte aggregazioni urbani, forse di solo carattere storico o anche amministrativo. Riportiamo sotto quartieri o borghi l’elenco che ricaviamo dalla lettura, abbastanza impegnativa, dell’intero catasto onciario, consistente in circa 1300 pagine, prestando attenzione alla costanza della denominazione “borgo” o “quartiere” e segnalando eventuali difformità o usi promiscui dei due termini:

Borghi: San Francesco d’Assisi.

Quartieri:

Ricorre spesso una doppia indicazione per i toponimi (seu). Fra queste particolarmente interessante è quanto apprendiamo a proposito di don Antonino Silvestri del ceto dei nobili (p. 51v). Abitava nella contrada del Santissimo che era anche detta della madre chiesa, sede della Insigne Collegiata. Pertanto ne possiamo dedurre che questa importante istituzione si trovava nel luogo più spesso denominato come il Santissimo, da tenere a sua volta distinto dal toponimo il SS. Rosario, più spesso detto soltanto il Rosario.

 

26. Lo stato miserevole della città di Seminara nell’anno 1756. – Di uno “stato miserevole” della città di Seminara si parla nella produzione di causa redatta dal de Sarno. Questa condizione è riferita esattamente ai termini troppo brevi per poter dispegnare quanto era stato portato al Monte. Si dice “a tutti noto” il grandissimo numero di oggetti dati in pegno durante una lunghissima serie di anni. Tali oggetti sono registrati sui libri del Monte a far data dal 1595. Se per tali pegni dovesse pagarsi l’interesse del sei per cento nulla rimarrebbe ai proprietari in caso di vendita.

 

27. Da un volume notarile del 1768. – Dal lavor di riordino dell’archivio della Collegiata è venuto fuori un volume notarile di rara bellezza, per la sua leggibilità, accuratezza formale e completezza. Si tratta esattamente del volume diciassettesimo del notaio Domenico Arena della città di Seminara relativo all’anno 1768. Da una prima lettura sommaria pare si tratti di un volume riguardante, direttamente o indirettamente, la Collegiata stessa e questo ne giustifica probabilmente la sua conservazione fra le carte della Insigne Collegiata. Procediamo ad una lettura integrale delle 200 pagine prendendo nota di notizie che a prima vista ci paiono oggi interessanti, anche se marginali nel contesto del singolo atto notarile.

Si apprende intanto di un usufrutto destinato a “celebrare tante messe nell’altare delle Reliquie Santi Filareto, ed Elia alla ragione di grana ventidue, e piccoli quattro per cadauna” (p. 2v). Di queste reliquie vi è ancora memoria e consistono in un braccio. Dell’esistenza di un altare non si aveva invece notizia, ovvero prova documentale. In altro documento, il testamento del canonico Matteo Tomeo, si fa semplice menzione di un altare delle Reliquie eretto dentro la chiesa madre (p. 8v). Tra le chiese all’epoca esistenti troviamo la venerabile Chiesa di San Marco Evangelista e la venerabile chiesa di Santa Maria dei Poveri, che risultano entrambi beneficiarie di un lascito (p. 3r). Dentro la chiesa di S. Maria dei Poveri esisteva poi un altare della S.ma Annunziata, nel quale un testatore chiedeva di essere sepolto (p. 7).

28. Prima e dopo il 1783: notizie tratte dal libro dei morti 1773-1784. – Una prima notizia interessante la si ricava da un elenco stilato nell’ultima pagina della sovraccoperta del volume rilegato. Si tratta della successione in ordine cronologico degli arcidiaconi della Insigne Collegiata Immacolata Concezione della città di Seminara. Nell’ordine dal 1° all’11° sono i seguenti: De Franco, Munizio, de Lauro, Clemente, Ranieri, de Alessandro, Lanzo, Rechichi, Grio, Ricevuto, Crea.

Considerato l’ampio arco temporale coperto dal volume, abbastanza integro, è possibile avere un’idea delle famiglie, nobili o meno, presenti in Seminara alla vigilia del grande flagello. Redigiamo un elenco dei cognomi, senza però dare conto della maggiore o minore frequenza ed escludendo quelli che non ci riescono chiaramente leggibili. Confrontando questo elenco con altri elenchi più antichi ed altri più recenti è possibile farsi un’idea generale della presenza delle famiglie nel territorio e della storia sociale legata al loro nome. Più minute ricerche genealogiche non rientrano nei fini della nostra sintesi.

In ordine alfabetico troviamo dunque negli anni 1773-1784 la presenza in Seminara dei seguenti cognomi di defunti o parenti di defunti: Agresta, Alfarone, Ammendolia, Anile, Arcuri, Arena, Avellino, Bagnato, Barba, Barcellona, Barillà, Barone, Barritteri, Battaglia, Benedetto, Bianchino, Bombace, Buda, Buggè, Branciforte, Calabrò, Caldarazzo, Camabareri, Campagna, Cannizzaro, Capoferro, Caracciolo, Caria, Cariddi, Carnovale, Catanzaro, Cavallaro, Celi, Ceravolo, Chiappalone, Chirchiglia, Chirri, Cidoni, Cimino, Clemente, Colicchia, Collura, Coscinà, Costarella, Creazzo, Crisafi, Currao, Cuzzocria, de Luca, Dinaro, Doria, Evangelista, Falcone, Ferraro, Fiore, Florio, Fontana, Foti, Franco, Furnari, Gaglioti, Gallico, Gangemi, Garzo, Gatto, Genua, Gerace, Giofrè, Grillo, Grio, Giustra[28], Gullo, Impiombato, Ioculano, Laganà, Lamarra, Lanzo, Larocca, Latino, Longo, Lovecchio, Luppino, Managhò, Mangano, Mangione, Masseo, Marafioti, Marano, Marino, Marzano, Megale, Melara, Mercurio, Mezzatesta, Milignano, Milano, Monitio, Morabito, Muscardino, Muscari, Napoli, Nesci, Occhipinti, Oliva, Palamara, Palumbo, Pardo, Pentimalli, Pinnacchio, Pirrone, Polimeni, Porco, Puleio, Rajmondo, Ricciardi, Romeo, Rossi, Russo, Sanchez, Saffioti, Smeraglia, Sofi, Sonnà, Schimizzi, Smeraglia, Sorace, Spanò, Spina, Squillace, Suraci, Tedesco, Terranova, Tigani, Tomeo, Tripodi, Tropiano, Vaccaro, Zagari, Zetera, Zirilli, Zuccaro, Zumbo.

L’elenco che precede non ha pretesa alcuna di completezza, ma fornisce una buona base di partenza per lo studio delle famiglie di Seminara. Si intende dire di una storia che abbia carattere sociale e non sia mera genealogia. In tal senso sono egualmente importanti le famiglie nobili e quelle umili. Il periodo considerato, cioè il decennio 1773-84, è abbastanza continuo e completo per quanto riguarda i dati, non è troppo lontano nel tempo né troppo vicino. Si colloca inoltre in un momento di mutamento epocale della storia di Seminara: la distruzione della vecchia città e l’inizio della nuova. I dati da raccogliere conservati nei differenti archivi pubblici sono relativamente abbondanti e tali da consentire una “narratio” di fatti storicamente avvenuti.

 

29. Le chiese di Seminara alla vigilia del terribile terremoto. – Un altro interessante elenco da redigere è la serie delle chiese indicate come luogo di sepoltura dei defunti. E tra queste troviamo, con maggiore o minore frequenza le seguenti: la chiesa maggiore presenta il maggior numero di sepolture, ma a notevole distanza seguono in ordine casuale derivante dalla lettura: 1°) la chiesa di S. Michele Arcangelo; 2°) la chiesa di S. Marco; 3°) la chiesa del SS. Rosario; 4°) la chiesa di S. Maria degli Angeli; 5°) la chiesa di S. Maria dei Poveri; 6°) la chiesa di S. Basilio; 7°) la chiesa di S. Maria dei Miracoli; 8°) la chiesa di S. Francesco di Assisi; 9°) chiesa del Santo Spirito; 10°) la chiesa di S. Francesco, specificata come dei PP. Cappuccini; 11°) la chiesa specificata come di S. Francesco da Paola. 12°) la chiesa di S. Rocco.

Un ulteriore elenco derivante dai precedenti è l’incidenza di determinati cognomi a determinate chiese indicate come luoghi di sepoltura. Per tale via potrebbe desumersi un giuspatronato di una famiglia su una determinata chiesa. Proviamo a redigere una simile corrispondenza, senza voler però trarre subito delle conclusioni dalle ricorrenze.

 

Abbiamo così che: nella chiesa maggiore, dove si ha il maggior numero di sepolture, troviamo esemplificativamente i seguenti nomi, ma in quantità eccessiva per essere riportati tutti: Barcellona, Bombace, Cannizzaro, Cariddi, Capoferro, Carnovale, Catanzaro, Cavallaro, Ceravolo, Chirri, Colicchia, de Luca, Doria, Furnari, gaglioti, Gatto (2), Gerace, Giofrè (4), Impiombato, Larocca (2), Marra, Marzano, Megale (2), Mercurio, Mezzatesta, Morabito, Moré, Muscari, Occhipinti, Pinnacchio, Russo, Sanghez, Smeraglia, Sorace, Squillace, Suraci, Terranova, Tripodi (2), Tomeo, Zagari (2), Zetera, Zirilli, Zuccaro, Zumbo.

Più limitato è il numero dei defunti sepolti nelle altre chiese. Cosìcché possiamo tentare la seguente distribuzione, da intendersi come orientativa e per campioni:

1°) Nella chiesa di S. Michele Arcangelo vengono sepolti i defunti con il seguente cognome: Arena, Benedetto (2), Bombace, Branciforte, Buggè, Capoferro, Catanzaro, Collura (2), Coscinà, Costarella, Cuzzocria, de Luca, Evangelista, Foti (2), Furnari, Gatto, Marra, Nesci, Oliva, Pardo, Pentimalli (3);

2°) nella chiesa di S. Marco: Agresta, Ammendolia, Avellino, Arcuri, Bianchino (4), Cidoni, Clemente, Evangelista, Gaglioti, Ioculano, Latino, Managhò, Marano, Moré, Nesci (2), Polimeni (4), Ricciardi, Russo, Saffioti, Schimizzi, Spanò, Terranova, Tripodo;

3°) nella chiesa del SS. Rosario, specificata qualche volta come dei PP. Predicatori (p. 68r, 77v): Ammendolia, Benedetto, Calabrò, Caldarazzo, Chiappalone, Evangelista, Latino, Managò, Masseo, Melara, Muscari, Nesci (2), Raimondo, Zirilli.

4°) nella chiesa di S. Maria degli Angeli, specificata qualche volta (p. 82r) come dei PP. Osservanti: Anile, de Alessandro, Franco (2), Guardata, Marzano, Mezzatesta, Milignano (2), Monizio (2), Palumbo, Rossi (2), Sanghez.

5°) nella chiesa di S. Maria dei Poveri: Barcillona, Chirchiglia, Clemente, Mangano, Marafioti (2), Pirrone, Russo (2).

6°) nella chiesa di S. Basilio: Ioculano.

7°) nella chiesa di S. Maria dei Miracoli:

8°) nella chiesa di S. Francesco di Assisi, specificata (p. 59v) come dei PP. Minimi Conventuali: Barillà, Caracciolo, Chirri, Coscinà, de Luca, Gallico, Longo, Milignano (1), Morabito (2), Napoli, Schimizzi.

9°) nella chiesa del Santo Spirito o Spirito Santo: Carnovale, Grio.

10°) nella chiesa di S. Francesco, specificata in aggiunta come dei PP. Cappuccini (p. 89v) o solo come chiesa dei PP. Cappuccini: Tedesco (3).

11°) nella chiesa specificata come di S. Francesco da Paola dei PP. Minimi: Ammendolia (2), Mezzatesta, Milignano, Napoli, Tripodi.

12°) nella chiesa di S. Rocco: Cariddi.

 

Nella redazione dell’atto di morte a volte è data particolare evidenza ad un defunto che all’epoca rivestiva un particolare rango sociale nella seminara del tempo. Fra questi: il dominus Don Francesco Antonio Mezzatesta (p. 16 del volume citato), morto all’età di 83 anni e sepolto nella cappella di famiglia sita in Santa Maria degli Angeli, ma a questo Mezzatesta ne segue subito un altro di nome Vincenzo, di un anno, che venne sepolto nella chiesa maggiore.

Tra i sacerdoti defunti troviamo i seguenti nomi: Giuseppe Antonio Russo; Francesco Repaci, di anni 72, sepolto nella chiesa Maggiore; Bruno Melara, di anni 64, sepolto nella chiesa Maggiore; il reverendo Carlo Chitti, figlio del quondam Magnifico don Paolo, di anni 65, sepolto in S. Maria degli Angeli; Gaetano Clemente, morto a 65 anni e sepolto nella chiesa Maggiore; Domenico Predoti, di anni 80, sepolto nella chiesa Maggiore; Vincenzo Mattia Longo, di anni 78, sepolto nella chiesa di San Francesco di Assisi, Bruno Gariani, di anni 75, sepolto nella chiesa di S. Francesco dei PP. Cappuccini.

Tra i defunti sepolti con il titolo di magnifico troviamo: Giuseppe Megale, di anni 24; Saveria Monizio, di anni 64, sepolta in S. Maria degli Angeli; Francesca Palumbo, di anni 84, sepolta in Santa Maria degli Angeli; Casimiro Coscinà, di anni 60, sepolto nella chiesa di S. Francesco d’Assisi; Teresa Fiore, di anni 47, sepolta nella chiesa del Rosario; Giuseppe Sanghez, di anni 39, sepolto in S. Maria degli Angeli; Antonino Silvestri, di anni 74, sepolto in S. Maria degli Angeli; Beatrice Grillo, di anni 76, sepolta in S. Maria degli Angeli; Giovanni Sonnà, di anni 70, sepolto in S. Maria degli Angeli; Giovanna Franco, di anni 84, sepolta in S. Maria degli Angeli; Teresa Spina, di anni 54, sepolta in S. Maria degli Angeli, Giuseppe repaci, di anni 83, sepolto nella chiesa Maggiore; Lorenzo Rossi, di anni 33, sepolto in S. Francesco di Assisi, Emanuele Sanchez, di anni 69, sepolto in S. Maria degli Angeli; Aloisia Sonnà, di anni 37, sepolta in S. Maria degli Angeli; Vincenzo Mezzatesta, di anni 43, sepolto in S. Maria degli Angeli; Giuseppe Monizio, di anni 69, fu sepolto in S. Maria degli Angeli. Il titolo di magnifico è attribuito agli infanti. Ne tralasciamo in questo caso l’indicazione in quanto per evidenti ragioni non annoverabile fra soggetti che abbiano avuto il tempo di incidere sulla storia locale. Come risulta dall’elenco sopra redatto e che si lascia incompleto la maggior parte dei magnifici trovava sepoltura in S. Maria degli Angeli, che era per così dire una chiesa “aristocratica”, forse non a caso ricostruita dopo il terremoto nello stesso luogo in cui si trovava precedentemente.

Tra gli allegati al volume se ne trova uno, alle pagg. 40-41, in apparenza di notevole importanza, ma di difficile interpretazione. Pare trattarsi di una votazione nella sede del parlamento cittadino, cioè nella venerabile chiesa di S. Rocco. Tra i soggetti nominati: il redattore del documento, il notaio Domenico Repace, nella sua qualità – se ben leggiamo – di “attuale Archivario universale di questa città di Seminara”, seguono poi i nomi di tal Grio, di Agazio Mezzatesta, l’elenco degli undici canonici chiamati a votare: Giuseppe Tuppo, Pasquale Tedesco, Elia Guardata, Angelo Falvetti, Vincenzo Tomaselli, Michelangelo Costarella, Vincenzo Mangione, Francescantonio Aquino, Candiloro Musicò, Nicodemo Arena, Giuseppe Antonio Melara. Il documento richiede uno studio separato.

Per quanto riguarda le genealogie, ricostruibili con l’aiuto del volume, un piccolo mistero è costituito dalla nascita di Pasquale Mezzatesta, morto il 16 settembre 1776 all’età di circa 50 anni e quindi nato intorno al 1726, tre anni prima di Agazio Mezzatesta. Fra le genealogie delle famiglia di Seminara quella dei Mezzatesta è la più documentata e documentabile. Ed è esemplare per la possibilità di ricostruire la storia sociale di un paese attraverso la storia di una singola famiglia. Tuttavia, per quanto riguarda Pasquale siamo in presenza di un mistero da chiarire. Non dovrebbe trattarsi di una nascita illegittima, altrimenti non si spiegherebbe il cognome portato da Pasquale né lo status di “coniugi” attribuito ai di lui genitori, dei quali non è però fatto il nome. Una traccia può essere data dall’essere stato Pasquale coetano di Agazio, che fu tra i personaggi di maggior spicco nella Seminara del Settecento. Si badi tuttavia che l’assenza di indicazione della paternità e maternità del defunto non è infrequente e deve qui essere meglio interpretata. Potrebbe significare semplicemente che il redattore dell’atto di morte ignora i dati richiesti dal formulario, senza che ciò implichi una nascita illegittima. Ma trattandosi di un Mezzatesta la cosa riesce lo stesso strana. Può darsi che Pasquale fosse un figlio naturale (e questo indicherebbe la N.) allo stesso modo di come per Vittoria Franco, morta a 77 anni e sepolta in S. Maria degli Angeli, si dice che fu una “filia Naturalis”[29].

Nella monotona formulazione degli atti di morte si trova qualche eccezione nell’indicazione delle modalità del decesso. Così a proposito di Jacopo Seravanti morto nel 1777 si dice (p. 88v) che fu trovato morto “in loco vulgo dicto Malamorte”.

 

30. Il deplorabile anno 1783 nelle pagine del Libro dei morti. – L’intestazione “Incipit  annus deplorabilis 1783” è stata evidentemente inserita successivamente in un margine di foglio che era stato lasciato libero per l’indicazione di inizio anno. Dopo la registrazione di otto decessi in gennaio ed inizio febbraio il Liber reca notizia solenne della fine seminarese dei tempi. L’intero paese fu distrutto irrimediabilmente. Il numero dei morti fu calcolato in circa 1250. I loro corpi rimasero per un mese sotto le macerie e dopo furono dati alle fiamme. Il cronista così riporta il terribile evento: «Die quinta eiusdem mensis die mercurio hora * decimanona circiter accidit terremotus magnus, et horribilis, qui totam hanc civitatem dextruxit, et circiter mille ducentum quinquaginta iuxta numeratione, quorum corpora per integrum mensem remanserunt sub ruinis, et postea in aperiendis semitis, data sunt flammis. Iuxta iudicia Dei * Nos qui vivimus benedicimus Domino». La storia successiva del paese non avrebbe potuto più essere la stessa. La continuità precedente era irrimediabilmente spezzata. La nuova Seminara non avrebbe mai potuto eguagliare lo splendore della precedente, che già in piena decadenza conservava e consumava i beni accumulati nel periodo della floridezza collocabile nel secolo decimosesto, quando era fiorente il commercio della seta.

Non tutti i corpi dovettero essere bruciati. Del canonico Domenico Barba, deceduto nel flagello del terremoto, fu sepolto nella chiesa maggiore in un luogo specificato come “coemeterio sacerdotum” ed evidentemente preesistente alla distruzione del complesso edilizio che ospitava la chiesa maggiore. Se trattavasi di un cimitero all’aperto, è possibile che se ne continuasse l’uso come luogo di sepoltura dei defunti. Più problematico sarebbe stato se i corpi fossero stati deposti all’interno di edifici distrutti dal terremoto. È anche la prima volta che nei libri dei morti posso rinvenire l’espressione “coemeterio sacerdotum”, che fa appunto pensare ad un distinto luogo di sepoltura per gli ecclesiastici, che in effetti in buon numero venivano già sepolti nella chiesa maggiore. Di un altro sacerdote, il canonico Felice Vaccaro, registrato subito dopo il can. Barba e come questi pure morto nel flagello del terremoto, è indicato il luogo della sepoltura come avvenuto semplicemente nella chiesa maggiore, senza la precedente specificazione del “coemeterio sacerdotum”. Ma trattasi evidentemente di specificazione superflua per l’estensore dell’atto di morte.

Riportiamo nell’ordine di successione che si trova nel libro l’elenco dei morti a causa del flagello ed il luogo della loro sepoltura, dato quest’ultimo che ci consente di avere un’idea dell’agibilità dei luoghi malgrado la radicale distruzione: Francesco Tomaselli, di anni 67, sepolto nella chiesa maggiore; il magnifico Vincenzo de Alessandro, 39 anni, nella chiesa maggiore; la mag.ca Rosa Clemente, 37 anni, pure nella chiesa maggiore. Tutti insieme vengono indicati vari componenti della famiglia de Alessandro: Ottaviano, di anni 13; Giulio Cesare, di anni 2; Gaspare, di anni 10, tutti figli del magnifico Filippo, tutti sepolti nella chiesa maggiore. Lorenzo Mezzatesta, di anni 51, fu invece sepolto nella chiesa di S. Nicola. Di Iacopo Franco si dice invece che fu “combustus igne”, bruciato con il fuoco. Francesco Antonio Tomaselli, di anni 14, fu sepolto nella chiesa maggiore, che doveva forse avere un distinto cimitero per i laici. Giorgio Bianchini, sacerdote, fu sepolto in S. Michele. Non è data per quest’ultimo l’indicazione della morte avvenuta nel flagello. Lo stesso per  Santa Clemente, 77 anni, sepolta nella chiesa dei Cappuccini, sita fuori le mura e che forse non subì eccessivi danni dal terremoto del 1783, ma solo recentemente dalla furia degli uomini è stata ridotta a strada ed immondezzaio. Nei giorni e mesi successivi al terremoto viene data menzione delle seguenti chiese come luoghi di sepoltura dei defunti: Santa Maria dei Miracoli, la chiesa diruta dei cappuccini. Di Vincenza Certo (p. 215r) si dice che fu sepolta “extra muros Ecclesiae S. Maria Angelorum”. Altre chiese, forse pure con cimiteri improvvisati “extra muros” sono: quella di del SS.mo Rosario, la chiesa “diruta” di San Francesco di Paola, la chiesa pure “diruta” di S. Marco, la chiesa di S. Maria Germanorum, la chiesa di S. Maria dei Miracoli, la chiesa di S. Maria dei Poveri, che dai documenti non emerge mai come la chiesa principale di Seminara.

Tra le singolarità del Liber troviamo che tal Rocco Cianci fu trovato morto nel palazzo distrutto dell’Ill. Principe di Cariati (p. 232v): “inventus mortuus in Palatio diruto Ill.mo Principis Cariaten”. Il documento non ci dice purtroppo dove a sua volta si trovasse il Palazzo Spinelli. Di questo Rocco il documento dice che i parenti ignorano l’età, che viene comunque fissata in anni 66 circa. Il corpo dello svenurato fu sepolto in S. Francesco di Paola, forse vicino al Palazzo Spinelli. Vengono segnalati pure frequenti casi di “morte repentina”, tanto da non poter somministrare i sacramenti e segno probabile di epidemie insorte dalle condizioni di sopravvivenza imposte dal terremoto. Altra singolarità quella di Salvatore brusca morto “in carceribus” all’età di 78 anni (p. 245r) e sepolto in San Francesco di Paola.

 

31. Sepolture nella chiesa di S. Maria dei Poveri: notizie tratte dal Libro dei morti 1791-1797. – Prima della istituzione dei cimiteri moderni, posti in luoghi distanti dai centri abitati, era costume seppellire i propri morti nelle chiese o in immediate adiacenze. Ciò è abbastanza noto e nei suoi aspetti generali può essere più agevolmente studiato altrove, attingendo alla copiosa letteratura esistente. Ai nostri fini di storia locale finora pressoché totalmente inesplorata e quasi mai affrontata con metodi scientifici salta subito agli occhi nelle prime pagine del libro dei morti per gli anni 1791-1797 – restaurato, rilegato in volume e conservato nella stanza del tesoro – come ancora nell’anno 1791 i defunti venissero sepolti nella chiesa di S. Maria dei poveri ed in altre chiese. Ciò pone interrogativi circa l’intensità delle distruzioni apportate dal terremoto del 1783 e della conseguente maggiore o minore agibilità degli edifici di culto e loro pertinenze. Altre chiese indicate in questi anni come luoghi di sepoltura dei morti sono le seguenti: S. Marco, S. Maria degli Angeli, chiesa del SS. Rosario, chiesa di S. Francesco, chiesa di S. Michele. Di un defunto – se ben leggiamo – si dice che fu sepolto non in una chiesa, ma in un oliveto, pare in località la Contura. Non ci è chiaro se ciò sia stato dovuto ad assenza di sacramenti[30]. Una informazione interessante la troviamo nella registrazione di un decesso dell’anno 1794 per il quale si dice che la defunta fu sepolta nella “diruta” ecclesia di S. Michele[31]. Un’altra indicazione di chiesa “diruta” come luogo di sepoltura la troviamo di S. Maria del Rosario. Del defunto Antonio Gallo viene anche specificata – salvo errore di nostra lettura – una morte violenza a causa di una esplosione[32].

Tra i luoghi di sepoltura è indicata anche una chiesa che trovavasi in Ceramida[33]. Si può presumere che il seppellimento dei morti abbia continuato ad essere fatto negli stessi luoghi fino a quando non sia entrato in funzione l’attuale cimitero. È notizia relativamente recente a me giunta  il ritrovamento di resti ossei in S. Marco Nuovo, particolarmente in S. Marco Vecchio dove è stata ricoperta una fossa adibita ad una forma di seppellimento di defunti, nei pressi della chiesa dei Cappuccini.

Tra i nomi ricorrenti in questi anni e non compresi fra quelli già riportati nella descrizione del libro dei battesimi relativo agli anno 1633-1639 si riportano esemplificativamente e con le stesse avvertenze già date i seguenti: Alfarone, Arena, Bagalà, Bagnato, Barone, Bianchini, Calabria, Cambareri, Campagna, Candido, Cannizzaro, Caracciolo, Cariddi, Collura, Cosentino, Crisafi, de Angelis, Gaglioti, Gallo, Gaudioso, Genovese, Managò, Marra, Megale, Muscari, Infantino, Masseo, Muscardino, Napoli, Pellicanò, Pintimalli, Pulimeni, Ricciardi, Ricevuto, Russo, Smeraglia, Sonnà, Tarantino, Tomaselli, Trimarchi, Tripodi, Trovato, Valente, Zagari, Zirilli, Zumbo. Un cognome merita particolare attenzione: Seminara. Veniva dato a nati spuri ai quali non poteva attribuirsi il nome di uno o dell’altro dei genitori, perché ignoti. La successiva nascita di un bimbo da un padre con cognome Seminara era ovviamente registrata con il cognome Seminara[34], ma l’origine di tutti gli odierni cognomi Seminara da ignoti natali è un dato documentabile. Di una Pascalina Seminara “puella di 4 mesi” si dice che volò in cielo e fu sepolta in S. Michele. Nessuna indicazione di maternità e paternità. Il contenuto informativo normale del documento di morte è costituito dal nome del defunto, da quello del padre e della madre, dall’età del decesso, dal luogo della sepoltura ed ovviamente dalla somministrazione o meno dei sacramenti. Per i più antichi libri dei defunti abbondano informazioni di vario genere, ma via via che ci avviciniamo ai nostri tempi le informazioni si standardizzano e diventano dei meri formulari. Ben leggibile è una formula del 1795: «Die 30. Februarii 1795./ Antonius Arena siculus, vir Mariae Mauro obiit munitus omnibus sacramentis, et sepultus fuit in Ecclesiae Sancti Michaelis cum benedictione admodum R. aeconomum D. Michaelen Costarella. / Paschalis Lanzo Archidiaconus curatus».

L’importanza o il rango sociale del defunto è di norma desumibile dagli appellativi onorifici, mentre questi mancano del tutto per la gente comune. Così troviamo l’appellativo di “Magnifico Dottor Don” per il defunto Basilio Anile, mentre subito dopo troviamo solo l’indicazione di nome e cognome per Antonio Marafioti, figlio di Vincenzo e di Anna Smeraglia[35].

Non manca mai l’indicazione dello stato sacerdotale o religioso del defunto. Tra le sorelle possono leggersi i nomi di Gregoria Attisano, Saveria Chirchiglia, una sorella Maddalena dell’ordine delle Clarisse, Teresa di S. Mercurio.

Si deve osservare, infine, che il libro dei morti qui esaminato, benché fatto oggetto di restauro e rilegato in forma di volume, non è certamente il più significativo, o ricco di dati, fra quelli conservati nell’Archivio. Questi sono non meno bisognosi di restauro e di appropriata rilegatura conservativa.

 

32. Il ritorno della vita civile dopo il terribile flagello: la ricostruzione della chiesa Matrice. – Nell’ASCZ si trova un atto relativo alla riedificazione della Chiesa Matrice dell’anno 1790, cioè a sette anni dal terremoto. La somma messa a disposizione dalla Cassa sacra per l’edificazione della nuova chiesa era di 3.500 ducati. Ma si vuole riedificare detta chiesa “con un disegno magnifico del valore di ducati diecimila”, aggiungendo la somma di ducati 6.500. La costruzione della chiesa è necessaria, tenuto conto che la popolazione conta oltre 5.000 anime e la chiesa dove a sette anni dal terremoto si celebra la messa è in legname fradicio ed esposto alle intemperie. Figura un Mastro Paolo di Elia, della città di Napoli ma dimorante in Seminara. Pare questa l’origine dei d’Elia in Seminara. Dall’Ingegnere Giovan Battista de Cosiron fu fatta una perizia per la riedificazione della chiesa, che doveva essere di 112 palmi di lunghezza, 45 di larghezza e 30 di altezza. Dal testo della perizia si ricavano alcune notizie interessanti, e cioè: a) occorrevano 13.000 tegole; b) era previsto che venisse accomodato il coro per 20 canonici ch’era della diruta chiesa: quindi vuol dire che detto coro era stato recuperato dalle macerie e che si trattava solo di ripararlo. Occorrevano 50 ducati. c) Del pari era previsto che si dovessero accomodare gli stipi della diruta chiesa per situarvi gli arredi sacri. La spesa prevista era di ducati 32. d) Per i gradini per la porta della costruenda chiesa si contempla la possibilità che non si trovassero nei luoghi di pertinenza della Cassa Sacra nella Città di Seminara. Pare che ciò significhi una implicita ammissione che dalla città diruta si ricavava di norma tutto ciò che era possibile ricavare. La somma occorrente per toccare i diecimila ducati avrebbe dovuto ricavarsi da una tassa volontaria fra i cittadini. Dalla dichiarazione dell’arcidiacono si apprende però di una “universale strettezza” nella quali si trovavano i cittadini. L’avvio ed esecuzione dei lavori sono alquanto problematici, vanno a rilento e si legge di un benestante di Seminara che tratterrebbe la somma di circa 1.600 ducati messi a deposito: non li vuole cacciare.

 

33. Vita sociale nella seconda metà dell’Ottocento: il circolo “l’Unione”. – Apprendiamo da una “minuta sentenza” dell’Ufficio di Conciliazione dell’anno 1884 dell’esistenza di un circolo in Seminara denominato “l’Unione”. Ne facevano parte i proprietari Antonio Chirchiglia, Gaetano Mezzatesta, Antonio Marano, Giovanni Buda, Luigi Collura e Domenico D’Elia, che aveva procura a rappresentare gli altri attori, fra i quali è da aggiungere il Signor Gaetano Zirilli. Tutti questi signori pensarono di fare causa ad un altro “socio” che non aveva versato la quota mensile di lire una dovuta per il mantenimento del locale che ospitava il Circolo L’Unione. Il convenuto non comparente era Michele Mezzatesta, che non aveva versato le quote associative da febbraio a luglio. Questi fu condannato al pagamento di lire sei, più le spese di giudizio, dal viceconciliatore Alessandro Candido, che rivestiva anche la carica di Sindaco del Comune.

 

34. Il carro religioso di Seminara. – In Roma, al Museo delle Arti e Tradizioni popolari, si conserva un modello di quello che avrebbe dovuto essere un carro religioso simile a quello che ancora oggi è in uso durante le festività nella vicino Palmi, detto comunemente ‘a Vara’, ovvero italianizzando ‘La Varia’. L’esame del modello eseguito per fini di raccolta nel 1910 e conservato in Roma induce a dubitare che la struttura riprodotta abbia mai potuto funzionare. Inoltre lo stesso modello è assai diverso dall’immagine fotografica di una struttura ancora esistente in questo secolo e considerata da taluni come la ‘vara di Seminara’. Aggiungasi ancora che la documentazione storica esistente in Roma relativamente alla raccolta Polese, di cui fa parte il carro religioso di Seminara, non ha carattere storico-etnografico ma solo amministrativo. Si stabilisce in pratica il compenso preteso dall’artigiano Pelaia per eseguire il manufatto. Erano ben 900 lire, con un acconto di 500 che l’artigiano a causa della sua indigenza reclamava subito. Il manufatto del manufatto del carro religioso di Seminara venne eseguito pressoché contemporaneamente ad un altro carro, questo detto della Bruna, riguardante una località in provincia di Matera. Una sola volta pare si faccia confusione tra l’una e l’altro carro, ma normalmente quello di Seminara non ha altra denominazione che quella generica di “carro religioso”. Per l’appellativo di “della Bruna” usato forse erroneamente da taluni dovrebbe aversi a disposizione altra documentazione diversa da quella esistente presso l’Archivio storico del Museo delle arti e tradizioni popolari, da noi consultata in Roma e posseduta in fotocopia. Ad onor del vero va però detto che il modello romano presenta elementi come quelli della rappresentazione del sole e della luna, dei quali si ha notizia da atti notarili del Settecento.

 

35. Gli ultimi anni della Congregazione di Carità. – L’Istituto della Congregazione di Carità esistente in Seminara ha una storia probabilmente assai lunga, tutta da scrivere. Metodologicamente non possiamo qui ed ora procedere altrimenti che ricavando le notizie possibili dai documenti via via reperiti. Ciò allo scopo di consentire una lettura sequenziale anziché procedere con il consueto sistema di schedatura piuttosto disagevoli ai pochi lettori dei “Materiali”. All’Archivio Centrale dello Stato si trova una certa documentazione relativa alle Opere Pie. In questo fondo (vedi a parte la completa collocazione archivistica) ricaviamo così notizia della “Rimozione di Saverio Grio dalla carica di Presidente della Congregazione di Carità di Seminara”. Ciò avvenne con decreto reale del 27 giugno 1871, ancora datato in Firenze[36]. Una rimozione è atto grave e disonorevole. Cosa era successo? Speriamo che il resto della documentazione lo faccia capire. L’interessato fece subito ricorso. Ma su quale base? Da testo manoscritto del ricorso, del 20 giugno 1871, che quando il 17 maggio 1870 gli fu conferita la carica di Presidente, il Grio si trovava già in lite colla Congregazione per il pagamento di alcuni canoni di cui egli era debitore e quindi parrebbe evidente la causa di incompatibilità. Il ricorrente osserva che però nel frattempo tale incompatibilità era venuta a cessare. Caspita! Adesso gli amministrati potevano sentirsi tranquilli: commento tutto nostro. Non pare valga la pena affaticare gli occhi ulteriormente con la difficile grafia, annoiando per giunta il nostro avventuroso ed improbabile lettore. Il Consiglio Comunale dell’epoca in data 7 dicembre 1870 nominava comunque di nuovo il Grio a quella carica, secondo quanto si legge dal verbale del Consiglio di Stato del 6 giugno 1871. Il formalismo del Consiglio Comunale dell’epoca non è per niente sfiorato dal dubbio che in ogni caso persistevano ragioni di inopportunità a che il Grio venisse nominato Presidente della Congregazione. È cosa di ieri, ma sembra oggi, per la totale mancanza di spirito pubblico. La questione pare a noi sufficientemente individuata e decisamente trascurabile la trattazione e decifrazione degli ulteriori dettagli.

Un altro fascicolo[37], precedente, del 1865, lascia trasparire dal suo titolo una non migliore situazione dell’ente caritativo, del quale si chiede lo scioglimento. Cerchiamo di capirne la ragione. Intanto l’ente era amministrato da un Regio Commissario, da leggersi forse con nome Benedetto Accorinti. Con difficoltà di lettura si apprende da nota prefettizia del 23 marzo 1865 che all’epoca possedeva tre istituti di beneficenza, cioè il Monte di Pietà, l’Ospedale e l’eredità Pisani, che se fossero bene amministrati potrebbero tornare a gran sollievo di quella popolazione. Di male in peggio: commento nostro di posteri! La Congregazione di Carità sembra destinata a seguire il cattivo esempio delle altre amministrazione. Si legge chiaramente la parola “corruzione”, di per se eloquente, anche se mi riesce disagevole la comprensione dell’intero periodo e della successione delle frasi. Difficile quanto deprimente da leggere la nota prefettizia di quattro pagina, che si conclude con una proposta di scioglimento dell’ente. L’atto più importante del fascicolo, che bisognerebbe decifrare e trascrivere in chiaro, pur trattandosi di bella calligrafia dell’epoca, è una Relazione del Regio Commissario al Consiglio di Stato nella quale si propone lo scioglimento dell’ente; in data 31 marzo 1865.

Il terzo ed ultimo fascicolo[38], relativo a Seminara, della Busta 397 reca per titolo “Congregazione di Carità - Statuto Organico”, ma non contiene nulla essendo stato trasferito ad altro fascicolo ed altra busta che si spera di rintracciare in una prossima ricerca.

 

36. Il tentativo di distacco della frazione di S. Anna – La Busta 39 della serie dei Comuni dell’Archivio Centrale dello Stato contiene un fascicolo rguardante Seminara, relativamente agli anni 1904-06, ed intestato al “Distacco della frazione di S. Anna e sua aggregazione al Comune di S. Anna”. Nella cartella troviamo i documenti che commento di seguito in ordine casuale, via via che li vado esaminando. Intanto trovo in bella e chiara forma un Estratto dal processo verbale della seduta tenutasi in Reggio Calabria dal Consiglio provinciale il giorno 17 maggio 1904 sotto la presidenza del signor Comm. Avv. Michele Fimmanò, con l’interveno dei Consiglieri elencati in numero di 40[39], di cui presenti erano 25. Era presente il prefetto della provincia sig. comm. Onorato Germanio nella qualità di R. Commissario. Riferì sulla questione il De Zerbi. Non ne sono riportate le argomentazioni ma solo la proposta dello schema di deliberazione, e cioè: “Il Consiglio delibera di dare parere contrario circa il distacco della frazione di S. Anna dal Comune di Seminara per aggregarsi a quello di Melicuccà”. Manca una qualsiasi motivazione del parere contrario. Nessuno chiedendo di parlare la proposta è approvato con 23 voti favorevoli.

Per capire cosa era successo e come fossero andate le cose, o da dove si originasse la richiesta secessionistica dobbiamo aiutarci con la restante documentazione del fascicolo. Da una nota prefettizia, manoscritta, del 27 giugno 1904 apprendiamo che intanto l’istanza era stata promossa dalla maggioranza degli elettori di S. Anna, che erano poche persone considerando il ristretto suffragio all’epoca vigente. Il prefetto concludeva la sua nota con la quale si associa al parere contrario del Consiglio Provinciale, sostenendo come fosse “evidente che si trattava più di dispetto di partito che di vera e propria necessità di cose”. Da una nota ministeriale del 4 giugno 1904 si ricava pure che esiste nessuna “ragione topografica” a fondamento della richiesta scissionista. Il Ministero incarica perciò il prefetto di comunicare alla maggioranza degli elettori di S. Anna la determinazione contrario del governo.

Il fascicolo contiene la domanda originale fatta dagli elettori di S. Anna, debitamente firmata ed autenticata. Ci si lamenta perché la frazione è “assolutamente trascurata, priva di rappresentanza e destinata solo a fare le spese della frazione capoluogo”. Si aggiunge che la cattiva amministrazione è causa inoltre di non rari scioglimenti del Consiglio Comunale. Considerevoli spese – si dice – furono fatte a favore esclusivo della frazione capoluogo, spese “non tollerabili dalla condizioni del bilancio del Comune e con nessuna diligenza ed economia”. Ed a titolo di esempio vengono elencate le seguenti: 1°) la strada Seminara-Pontevecchio per lire novantamila, per giunta affatto abbandonata ed impraticabile; 2°) la strada Seminara-Barrettieri, per ventimila lire, resa inaccessibile per mancanza di manutenzione; 3°) l’acquedotto Caforchi-Seminara per più di centomila lire, con elegante e costosa vasca nella piazza di Seminara e fontane di ghisa ad ogni pie’ sospinto; 4°) per quattro impiegati del municipio(mentre sarebbero sufficienti due) lire duemila e quattrocento all’anno; 5°) per due medici condotti, ad esclusivo servizio della frazione capoluogo, altre duemila e quattrocento lire all’anno. A fronte di ciò si lasciava nel più completo abbandono la frazione di S. Anna, la quale in particolare si lamentava per il seguenti motivi: 1°) la mancanza di medico condotto con residenza stabile, nonché di una farmacia o almeno un armadio farmaceutico; 2°) la mancanza di buona acqua potabile, tanto da doversi andare a rifornire in Melicuccà, distante mezzo chilometro; 3°) la trascuranza del pubblico spazzamento e della rimozione di ogni altra qualsiasi causa nocevole all’igiene ed alla pubblica salute. Ci sono infine tante altre cause di lamentela che “parre lungo enumerare”.

Per i motivi sopra elencati, e sulla base delle leggi all’epoca vigente, si chiedeva la disaggregazione da Seminara e l’aggregazione a Melicuccà, dove avrebbero goduto i vantaggi invano richiesti al capoluogo. Occorre qui osservare che ancora l’Archivio di Stato conserva un fascicolo della stessa epoca relativo a Melicuccà, dove però la situazione amministrativa del Comune non appare idilliaca, per cui l’osservazione prefettizia circa il “dispetto di partito” non pare infondata. La protesta fu firmata in data 24 giugno 1903 dai seguenti elettori costituenti la maggioranza: 1°) Rosario Candido fu Cesare; 2°) Giovanni Teotino di Nicola Arciprete Curato;  3°) Cappellano Vincenzo Mignoli fu Antonio; 4°) Nicola Arcieri fu Domenico; 5°) Antonino Surace di Francesco; 6°) Antonio Carullo fu Giuseppe; 7°) Saverio Clemente fu Antonio; 8°) Puntureri Francesco fu Girolamo; 9°) Antonio Celi fu Andrea; 10°) Gonadi Domenico di Antonio; 11°) Barillà Domenico fu Francesco; 12°) Cardile Carmine fu Gaetano; 13°) Febbo Francesco fu Giuseppe; 14°) Febbo Tommaso fu Giuseppe; 15°) Mazza Domenico Antonio di Giuseppe; 16°) Tripodi Domenico di Rosario; 17°) Salvatore Palmieri fu Domenicantonio. Nell’autentica notarile si dice che l’atto fu sottoscritto, in Sant’Anna, nella casa del signor Rosario Candido fu Cesare sulla strada Via Nuova. Erano testimoni idonei Giovanbattista Martino di Carmine, possidente nato e residente in Melicuccà e Marino Ferdinando fu Vincenzo commerciante nato in Radidena e residente in S. Anna. Notaio dell’atto era Domenico Antonio Calogero fu Michelangelo in Melicuccà.

La pratica ebbe il suo svolgimento rituale e sono presenti nel fascicolo le lettere di mera trasmissione. Furono ovviamente interpellati i due comuni interessati, ma nel fascicoli non si trovano gli atti relativi, che bisognerà percio cercare altrove, se proprio interessa seguire la vicenda in ogni suo minimo dettaglio. Non manca la solita raccomandazione. Si trova così una copia di una lettera dell’On. De Nava, diretta al Sottosegretario dell’epoca, il “caro Ronchetti”, al quale si “raccomandava caldamente l’unita istanza”, dove però non ci si attendeva un sicuro accoglimento, ma solo la cortesia di poter conoscere le “disposizioni al riguardo”.

 

37. Scioglimento del Consiglio Comunale di Palmi nel 1903. – Sembra che in questo periodo siano frequenti i casi di cattiva amministrazione e che non interessino un singolo comune, Seminara o Melicuccà, ma anche la vicina Palmi, che da antico casale di Seminara si sviluppa in principale centro della zona. Nella Busta 181 della serie Comuni troviamo un voluminoso dossier che riguarda lo scioglimento del Consiglio effettivamente disposto verso la fine del 1902. Esiste un Estratto dalla Gazzetta Ufficiale del 30 settembre 1902, n. 227, che offre una sintetica Relazione di S.E. il Ministro dell’Interno a S.M. il Re, in udienza del 9 settembre 1902, sul decreto che scioglie il Consiglio comunale di Palmi. Con ulteriore sintesi ricaviamo dal nitido foglio a stampa le notizie che seguono. Si parla di non poche e non lievi irregolarità accertate nella gestione del Municipio di Palmi. Si dimisero ventuno su trenta consiglieri comunali. Di necessità l’amministrazione fu affidata ad un Commissario. In particolare si legge come manchino nell’Ufficio di segreteria gl’inventari dei beni mobili ed immobili e dei diritti di servitù, e simili. Il tesoriere non osserva gli obblighi che gli competono e manca perfino della prescritta cassaforte. Mancano i controlli. Non vengono registrate le partire di entrata ed uscita. Spesso i mandati sono consegnati direttamente ai creditori, contrariamente alle disposizioni vigenti, e molti mandati sono intestati ad impiegati o salariati municipali, anziché ai veri percipienti. Dopo aver riferito di altre gravi irregolarità amministrativa si legge che il “Municipio di Palmi ha costruito un apposito edificio per le scuole primarie avvalendosi del mutuo di favore: ma esso, per la parte migliore, serve all’Ufficio comunale, e sarà anche adibito per l’istituendo Ginnasio mentre per le scuole elementari femminili si tiene in affitto un locale inadatto ed antigienico, con una spesa annua di L. 1000 che si ritiene eccessiva”. Di tale istituendo Ginnasio si dice “che sarà utile a poche famiglie agiate, rimanendo insoddisfatti i più urgenti bisogni del paese”, in materia di strade, macello, lavatoio, pescheria, acquedotto, fognatura. Ma esistono giardini pubblici e teatro ed il concerto musicale costa al Municipio più di L. 7000. Il bilancio comunale del 1902 è in gran parte fittizio e sostanzialmente presenta un disavanzo di L. 21.000. Nella Relazione vien detto che “il Comune funziona col provento della tassa che di preferenza colpisce il consumatore povero”. Il debito patrimoniale del Comune eccede le L. 500.000. Per tali ragioni si chiede con decreto a firma Giolitti lo scioglimento del Consiglio comunale e la nomina di Regio Commissario per “attuare le riforme ed economie atte a migliorare la posizione della civica finanza”. Il Commissario fu nominato nella persona del Dott. Melloni, di cui esiste nel fascicolo una ampia Relazione, manoscritta e rilegata, ossia un quaderno, che fu letta al ricostituito Consiglio Comunale di Palmi in data 23 gennaio 1903.

 

 

38. Un “raggio di luce” del 1911. – Nel luglio 1911 uscì dalla Tipografia Zappone di Palmi una pubblicazione polemica di Giuseppe D’Elia in risposta ad un suo avversario politico[40]. Il testo rinvia subito ad altre pubblicazioni polemico di cui non ho il testo, se mai ancora esiste[41]. Ne do una lettura dove tento di estrarre dalla polemica notizie oggi di interesse storico. L’avversario polemico è il Signor Lanzo, autore di false accuse contro l’ammistrazione dello stesso d’Elia. Si rimprovera l’ingratitudine per una passata benevolenza della famiglia d’Elia verso la famiglia Lanzo, più precisamente uno zio del Signor Lanzo, ovver di don Nandino. Una nota di colore è data dal riferimento ai “labili e miseri onori che vengono dalle cariche municipali” a fronte dello scopo di “togliere dal palazzo municipale i tanti voraci avvoltoi”. Allusioni alla “debolezza dei caratteri del nostro paese” e ad un “continuato e lurido trasformismo a base utilitaria”.

Finalmente si apprende che nel 1876 il D’Elia entrò in carica come Sindaco, trovando in cassa lire 17.000. Viveva all’epoca anche l’Avv. Sig. Alessandro Candido, che era stato precedente Sindaco. Si respingono le accuse di appropriazione di detta somma. Dal D’Elia fu denunziato il cassiere al magistrato penale. Del Candido si dice che si ritirò a vita privato. Entra quindi in scena il Signor Filareto Anile, dipinto come “ingegno eletto e parlatore simpatico”, purtroppo “travagliato nella salute”. Di Francesco Repace si dice che lasciò “quasi subito” la carica. Del Candido si parla con molto rispetto, dicendo che “era uno dei pochi che per le sue rare virtù onorava il vostro (sc. del Lanzo) i gli dava il migliore indirizzo possibile, correggendo i vostri non pochi errori” (p. 7). E ciò era “tanto vero che qualche volta vedendovi perseverare in cose contrarie alla legge e al tornaconto del comune, se ne infastidiva e minacciava di abbandonarvi”. Nella testo della polemica difficile da ricostruire si chiamano tuttavia nobili le figure dei Signori Candido, Repace e Anile, mentre poco prima si accenna al rovesciamento della amministrazione Arcaro, fatto per il quale si respinge l’addebito.

Un paragrafo è dedicato alla strada Pontevecchio. Per le spese relative era stato costituito un consorzio di comuni. La quota di Seminara era di lire 31.257, il cui rendiconto è oggetto di controversia. Si capisce dal testo che Lanzo e Candido erano dello stesso partito, ma solo il secondo era abile amministratore, politico e professionista, unico in grado di risolvere problemi di cui invece il Lanzo era manifestamente incapace. Si parla di impraticabilità della strada Pontevecchio. L’utilità della strada dovrebbe essere fuori discussione, tanto più che lo stesso Lanzo possedeva in contrada Portello un vigneto con cantina. Il traffico sulla strada è notevole, specialmente nella stagione olearia, in direzione della Piana. Si apprende che il tracciato della strada veniva occupato con costruzioni di pagliaie verso il Ponte Vecchio, con meraviglia di tutti i passanti.

Altra strada abbandonata dalla gestione Lanzo è quella dei Piani Corona, pur dando questa accesso ad una delle principali borgate del Comune. La cattiva manutenzione è causa di litigi verso il Comune “per le acque che in tempo di pioggia si riversano a valle, danneggiando i fondi di diversi proprietari. Detta strada per le riparazioni fatte dal funzionante Signor Collura era stat ricevuta dal Lanzo in buono stato. Si rimprovera al Lanzo di aver presentato tardiva istanza perché la strada potesse venire riparata a spese del governo nazionale. Si fa ancora menzione di un’altra strada in cattive condizioni, quella di campagna denominata Fiore. Il D’Elia aveva lasciato nel 1897 la pietra raccolta per “farne un’arteria principale e centrale con l’importante contrada Terramala”. Detta pietra servì per la costruzione di qualche palmento-cantina.

 

39. I "sovversivi" seminaresi schedati nel Casellario Politico Centrale. – Procedendo per ordine cronologico troviamo registrati nel C.P.C. diciassetti nati o residenti in Seminara che hanno meritato l'attenzione degli organi di polizia dell'epoca. Da un esame sommario dei fascicoli conservati presso l'Archivio Centrale dello Stato ricaviamo notizie, più o meno significative, riguardanti la personalità degli indagati e la vita cittadina in Seminara nella prima metà del Novecento. Ad ogni fascicolo è di norma allegata una foto segnaletica, integrata dai connotati di riconoscimento, secondo la prassi poliziesca. I dati sono normalmente attendibili, non avendo gli organi inquirenti interessante alcuno alla alterazione della verità di fatto.

Il fascicolo relativo Michelangelo Zema, di Giuseppe e Carmela Laganà, nato in Seminara il 18 settembre 1895 è corredato è corredata da una foto segnaletica in triplice posizione avuta da R. Calabria il 22 maggio 1937. Di professione era sarto. Interessante e ricca di notizie una nota prefettizia riservata del 9 gennaio 1937 che recita testualmente: «L'individuo in oggetto che, in passato, aveva manifestato sentimenti comunista, da diversi anni, dopo l'avvento al Governo del Fascismo, non aveva dato luogo a particolari rilievi. Da un certo tempo, però, ha ripreso a frequentare la compagnia di alcuni compagni di fede, con i quali si abbandona a commenti e critiche contro il regime in relazione agli attuali avvenimenti spagnoli. E' stato, inoltre, rilevato che si associa ad elementi pregiudicati con i quali passa, nelle bettole, buona parte della giornata, per cui si ha motivo di ritenerlo anche affiliato alla malavita.  A suo carico risultano i seguenti precedenti penali: 1°) Al 15 marzo 1929 Corte Appello Catanzaro assolto per insufficienza di prove per bancarotta fraudolenta; 2°) Al 14 novembre 1932 Pretore Palmi non doversi procedere per amnistia per lesioni. E' ammogliato ed ha tre figli. Prestò servizio militare, ma non ha particolari benemerenze. Vive miseramente lavorando saltuariamente da sarto. Per stroncare la sua attività antinazionale questo ufficio intenderebbe proporlo per l'assegnazione al confino di polizia quale elemento pericoloso all'ordine Nazionale dello Stato, facendolo destinare in comune di terreferma».

Antifascista, dunque, fu mandato al confino con provvedimento a firma Bocchino in data 22 gennaio 1937. Fu assegnato per tre anni al confino in S. Mauro Forte, in provincia di Matera, ma in data 24 febbraio "essendo stato condizionalmente prosciolto da S. E. il Capo del Governo, fu munito di foglio di via obbligatorio e rimpatriato a Seminara, dove è giunto il 25 corrente". Ne fu disposta la vigilanza. In altro documento Michelangelo è detto "comunista". Una più tarda nota prefettizia del 14 maggio 1942 comunica "che il comunista in oggetto risiede in Seminara dove esercita il mestiere di sarto. Mantiene riservato atteggiamento politico e non dà luogo a rilievi". Dopo non si hanno più notizie di lui.

Più giovane dello Zema era Domenico Santaiti, nato nel 1912 e del quale si ha una foto giovanile del 1934. Di professione ebanista, veste decentemente da operaio. Dalla lettura non cronologia e casuale delle carte nel fascicolo si apprende che in data 17 aprile 1943 si trovava a Seminara "per aver ottenuta giorni 80 di licenza di convalescenza che andranno a scadere il 23 maggio". Se ne disponeva la sorveglianza. Il "comunista" Santaiti prestava servizio militare, il 22 ottobre del 1941, presso la 31ª Batteria Autonoma Sommeggiata di stanza nella frazione di Villaperuccio del comune di Santadi. Ne era sempre disposta la vigilanza, già a quest'epoca. All'inizio di ottobre si trovava con il suo reparto in Santa Teresa di Gallura. Si annota che in questo luogo non aveva dato luogo a rimarchi con la sua condotta in genere. In un foglio della prefettura di Milano dell'11 giugno 1941 si segnala che il Santaiti indicato in oggetto come "ex ammonito politico - pregiudicato" aveva dimorato in Milano sino al 3 maggio 1940 "senza dare luogo a rilievi con la sua condotta politica". Si specifica quindi che trasferitosi il soggetto in Santa Teresa di Gallura, dove ne iniziava la viigilanza la questura di Sassari, veniva radiato dal casellario politico di Milano per non pertinenza territoriale. In data 16 aprile 1940 apprendiamo dalla prefettura di Milano che il Santaiti era "occupato presso la S.A. Zanchi Angelini", senza dare luogo a rilievi con la sua condotta politica. Da una nota della Prefettura di Reggio Calabria del 4 giugno 1934 si apprende che fu chiamato alle armi ed assegnato al 50° Reggimento Artiglieria, di stanza a Rodi.

Più interessante un esposto dello stesso Santaiti redatto in Seminara il 21 gennaio 1938, che si riassume di seguito. In seguito alla scoperta di una cellula comunista in Palmi nel 1934 il Santaiti venne arrestato il 23 marzo 1934 a Roma, dove si era recato per lavorare. Dopo poco tempo venne però scarcerato non essendo emersi a suo carico elementi di accusa. Fu però compreso nel novero dei sovversivi della provincia di Reggio Calabria. Ritornato a Roma dove trovò lavoro presso la ditta Oliverio Oliveri, di via La Spezia n. 63, lavorò per sette mesi, quando decise di iscriversi all'Ufficio anagrafe per chiedere la residenza in Roma. Fu invece fermato e rimpatriato a Seminara per ragioni di sicurezza e diffidato dal fare più ritorno in Roma. Fu danneggiato non poco nel suo lavoro di ebanista. Chiedeva perciò l'autorizzazione a poter ritornare a Roma. La questura di Roma diede parere contrario a fronte di parere favorevole dei carabinieri di Seminara e del questore di Reggio Calabria. Da qui l'esposto alla Direzione Generale della Pubblica Sicurezza perché venisse sanata la situazione del ricorrente. Il Santaiti insiste sul fatto che in Roma lui lavorava e basta. Ciò poteva accertarlo la stessa questura di Roma, che esercitò in effetti la sua sorveglianza ed il suo controllo. A discolpa il Santaiti scrive: "Se per il passato commisi delle colpe, ciò dipese dalla inconsapevolezza causata dalla mia troppo giovane età e perché istigato da elementi indegni e speculatori per cui prometto formalmente a codesto On.le Ministero di sottomettermi pienamente a tutte le disposizioni delle leggi emanate dal Governo e di essere fedele seguace di tutte le direttive del Partito Nazionale Fascista". L'esposto è dattiloscritto e può darsi che sia stato compilato da mano esperta alla quale il Santaiti si era rivolto.

Da una nota dell'11 febbraio 1938 della questura di Roma emerge però quanto segue in riassunto. Santaiti si era trasferito a Roma nel gennaio del 1934. Fu in effetti arrestato il 24 marzo in seguito a richiesta della Questura di Reggio Calabria in quanto facente parte di una organizzazione comunista e venne tradotto in Calabria. Il Santaiti però ritornò nella capitale il 12 aprile 1937. Fatta richiesta, la Questura di Roma si vide recapitare dalla dalla Questura di Reggio Calabria le informazioni che seguono. In data 12 dicembre 1926 (quattordicenne) il Santaiti era stato arrestato per lesioni qualificate e porto abusivo di coltello. Il 23 aprile 1928 (sedicenne) era nuovamente arrestato quale autore di omicidio premeditato, ma veniva assolto dalla Corte di Assise di Palmi il 28 giugno 1929 con verdetto negativo. Politicamente non aveva dato luogo a rilievi fino al marzo 1934, epoca in cui in occasione di una operazione di polizia eseguita in Palmi risultò che faceva parte di una cellula comunista, a capo della quale era il comunista Bongiorno Antonio (vedi). Fe perciò tratto in arresto dove trovavasi per ragioni di lavoro e denunziato al Tribunale Speciale con verbale del 26 aprile 1934 per rispondere del delitto previsto e punito dall'articolo 270 c.p. Fu però successivamente scarcerato dal Tribunale speciale (Vedi in ACS) e rimpatriato. Fu sottoposto ad ammonizione il 24 luglio 1934. Il 20 maggio 1936 in occasione "della vittoria delle nostre armi in Etiopia fu prosciolto da S.E. il Capo del Governo", ovvero secondo quanto si legge nella nota originaria venne "condonata l'ammonizione inflitta al comunista in oggetto". Sulla base di queste informazioni e persistendo i motivi del rimpatrio la Questura di Roma "esprime parere contrario all'accoglimento dell'istanza" del Santaiti. Dalla nota della Questura di Reggio Calabria si apprende fra l'altro che il Santaiti era all'epoca celibe e che aveva frequentato le scuole elementari.

Dopo Roma, dove non poteva più rientrare, Santaiti si trasferiva in cerca di lavoro da Seminara in Milano già in data 21 febbraio 1938. Era ormai sempre sottoposto a vigilanza, ovunque andasse e qualunque cosa facesse. Una ulteriore nota presente nel fascicolo ci fa sapere che Santaiti fu prosciolto dal Tribunale di Stato "per insufficienza di prove" e quindi per questo sottoposto alla sola "amminizione". In un altro foglio vengono fatti insieme i nomi di un gruppo di soggetti a confino e di ammoniti, tra cui oltre a Santaiti (ammonito) i nomi di De Maio Pietro ed altri non nominati o e Borgese Natale e altri non nominati. In pratica la cellula di Palmi. Il foglio successivo allegato specifica i seguenti nomi: per assegnazione al confino di polizia De Maio Pietro, Cipri Rocco, Pugliese Salvatore Domenico, Messina Vincenzo e Bongiorno Giuseppe quali irriducibili comunisti pericolosi. Borghese Natale, Florio Giuseppe e Polimeni Antonino non essendo in condizioni di sottostareal regime di confino, perché tubercolotici, dovevano secondo richiesta venire sottoposti ad ammonizione insieme con Gioffrè Vincenzo, Palermo Giuseppe e Santaiti Domenico.

In pratica il comunismo di Domenico Santaiti pare essere un errore di gioventù, mentre paiono più consistenti gli indizi di delinquenza comune. Certo, il regime non gli favorì la vita, impedendogli di lavorare in Roma, dove pare il Santaiti avesse trovato una buona sistemazione. Dopo questa occasione sfumata dovette trovarsi altrove il modo di sbarcare il lunario, lecito o meno che fosse. La linea difensiva presso il Tribunale Speciale è volta a negare ogni appartenenza ad una organizzazione comunista.

Altro schedato nel C.P.C. è Francesco Basile, nato nel 1900, di professione sarto, classificato come antifascista, confinato politico, amministrato (?). La foto allegata è del 1937. Procedendo in ordine casuale nella consultazione del fascicolo di non molti fogli ricaviamo i dati che seguono, cercando di interpretarli al meglio ai nostri fini storico-biografici e non certo politici. Intanto il nome della madre è riportato come Sirace Girolama, trattandosi però di un probabile errore per Surace, cognome effitamente presente sul territorio. Fu assegnato al confino per un anno con ordinanza del 3 febbraio 1937 e destinato a Castelmauro, in provincia di Campobasso. In data 10 febbraio 1941 una nota prefettizia informa che il soggetto “risiede tuttora a Seminara ove lavora da sarto” e “non dà luogo a rilievi con la condotta in genere”. Era già così in data 30 ottobre 1939. Una nota del 9 aprile 1937 informa che il soggetto era stato “prosciolto da S. E. il Capo del Governo nel marzo u.s.”. Il proscioglimento condizionale era stato dato in occasione della nascita di S.A.R. il Principe Vittorio Emanuele. Eccetto questi fogli meramente amministrativi il fascicolo non contiene purtroppo altri documenti che consentano di delineare la personalità dell’antifascista Francesco Basile.

 

40. La prima generazione di sovversivi. – Il più anziano di età nella lista dei sovversivi seminaresi del Casellario Politico Centrale è Nostro Vincenzo fu Francesco, di cui ancora si conserva memoria in Seminara. Abitava e teneva bottega nella via oggi detta Carlo V, dove fino a poco tempo fa si trovava una tabaccheria. La personalità del Nostro è descritta in una scheda riservata della Prefettura, aggiornata al 10 novembre 1926, dove si legge che mastro Vincenzo, nato nel 1866, è di cattiva condotta morale e civile. È di carattere aggressivo e violento, ineducato, ma di svegliata intelligenza e molto astuto. Ha poca cultura e non ha conseguito “titoli accademici”, espressione quest’ultima consueta negli schedari di polizia per indicare la mancanza di qualsiasi titolo di studio, anche elementare. Non ha beni di fortuna ed è di mestiere calzolaio, ma non esercita e gestisce un negozio di pellame. Anche lui (e sembra a Seminara fossero in molti) ricevette in passato compensi dal partito socialista, specie quando si trovava all’estero. Dal 28 luglio 1895 all’8 ottobre 1897 ricoprì la carica di consigliere comunale in Seminara. Ha molta influenza nel suo partito, in seno al quale ha ricoperto per molti anni la carica di segretario politico. Tiene corrispondenza con l’estero. Ha pubblicato articoli di politica locale. Tenne conferenze nelle pubbliche piazze. Verso le autorità mantiene contegno corretto, ma lo si giudica capace di atti terroristici. Non ha tuttavia riportato imputazioni o condanne. Fu denunziato per il confino, ma in sostituzione fu solo sottoposto a procedura di ammonizione.

Dal cospicuo fascicolo si ricavano i seguenti dati più o meno significativi. È fatta menzione di un fratello di nome Giuseppe Antonio insieme con il quale era stato aperto un comune fascicolo.

Di Domenico Alampi, nato nel 1899, si apprende che era sarto, stabilitosi in Milano nel 1943, dove in data 7 dicembre si riferisce che manteneva buona condotta. In precedenza aveva abitato in Vercelli, fin dal 1934, dove è pure riportata la “buona condotta”. Nel 1932 si trovava a Zara, dove aveva chiesto l’iscrizione alla Federazione Provinciale Fascista, che gli venne però negata in seguito alle cattive informazioni provenienti dal paese di origine. Ancora prima, nel 1928, era a Trieste, dove lavorava sempre come sarto. Si era trasferito a Messina nel 1925. Circa i precedenti per i quali meritava l’attenzione della polizia si legge appena che nel settembre del 1926 dall’Arma di Seminara fu segnalato come massimalista ed il quell’epoca fu eseguita dagli agenti della squadra politica nel suo domicilio una minuta perquisizione, con esito negativo. Null’altro si rinviene nel fascicolo che dia ragione della schedatura come “socialista” dell’innocuo sarto. Un timbro sul fascicolo avverte di un caso di omonimia, ma non risulta che vi si sia stato scambio di persona.

 

41. I "sovversivi" seminaresi davanti al Tribunale speciale per la difesa dello Stato. – La Buste 484 e 485 dell’Archivio Centrale dello Stato contengono i fascicoli relativi agli arrestati in Palmi nell’operazione di Polizia del marzo 1934 e deferiti al Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Tra gli arrestati è compreso Domenico Santaiti di Seminara, sul quale già esiste un fascicolo del C.P.C. Nelle due Buste dell’ACS sono compresi fascicoli intestati a cittadini di cui non esiste un corrispondente fascicolo presso il C.P.C., come ad esempio quello di Vincenzo Messina, nato a Palmi nel 1896, ivi residente ed esercitante il mestiere di ebanista, padre di cinque figli, dichiaratosi estraneo ai motivi dell’arresto. Da una rapida scorsa delle due Buste cerchiamo di ricavare dati relativi a Domenico Santaiti, di cui ho già detto, ed agli altri Seminaresi implicati, ma anche in merito all’operazione di polizia ed a quanto altro pare interessante ai nostri fini. La lista di tutti gli imputati, sedici, è la seguente: Bongiorno Antonio, Bongiorno Giuseppe, Borgese Natale, Borgese Salvatore, Cipri Rocco, De Maio Pietro, Florio Giuseppe, Gioffré Vincenzo, Marafioti Giuseppe, Melara Pasquale, Messina Vincenzo, Morabito Lorenzo, Palermo Giuseppe, Polimeni Antonino, Pugliese Domenico, Santaiti Domenico. Erano tutti imputati per aver partecipato tra il 1933 e il 1934 in Palmi e Seminara ad associazione comunista. L’indagine era stata avviata in seguito all’intercettazione di lettere che arrivano da Parigi. Al processo, nella requisitoria del pubblico ministero, si afferma che per il Gioffré e il Santaiti si sono potuti concretare solo sospetti per esseri stati costoro amici del Bongiorno, ma una prova sicura della loro appartenenza alla illegale associazione non si è potuta stabilire e si chiede pertano che vadano assolti dall’imputazione per insufficienza di prove. Il nucleo dell’eversione era tutto palmese.

Incontriamo dapprima, in ordine casuale, il fascicolo di Lorenzo Morabito di Seminara, di cui può leggersi il verbale di interrogatorio redatto in Palmi il 22 marzo 1934. Era appena rientrato in Seminara da Trieste, dove era andato inutilmente, presso un fratello, alla ricerca di lavoro. Dichiara di essere stato molto amico di Domenico Santaiti, che lo iniziò al partito comunista invitandolo a farne parte dicendo che avrebbe trovato degli ottimi compagni. Fu quindi portato presso il barbiere palmese Antonino Buongiorno, dove già si trovavano Vincenzò Gioffré, sarto in Seminara, Pasquale Melara, ebanista in Seminara, Salvatore Borghese, ebanista in Palmi, Giuseppe Marafioti, tipografo in Palmi. Partito per Roma il Santaiti, egli lo sostituì come compagno nella cellula. Le riunioni si tenevano in genere presso il barbieri, dopo le 19, di venerdì. Il Morabito veniva mandato dal barbiere di Palmi ad imbucare le lettere ed in questo genere di attività si esauriva il suo impegno. Successivamente il Morabito rettifica la sua precedente dichiarazione, dicendo di aver egli parlato al Santaiti di comunismo, ecc., e non viceversa. Il Santaiti non diede mai risposta alla richiesta di entrare nel partito comunista. Anzi, il Morabito sconfessa tutto il verbale precedente, essendo stato questo interamente redatto dai funzionari di polizia e da loro costretto a firmarli con la forza. Il fascicolo rivela un gioco di accuse e contraccuse reciproche, piuttosto monotono. Infine, con supplica a Sua Eccellenza il Capo del Governo in data 15 luglio 1934 il Morabito si dichiara fascista della prima ora e taccia di falsità ogni addebito di simpatie comuniste. Nel rapporto generale degli inquirenti il Morabito era però indicato come il capocellula per il territorio di Seminara.

I vari fascicoli concordano in ogni caso nella centralità della figura del barbiere palmese. Non è qui nostro scopo la ricostruzione del processo, ma solo la delineazione di aspetti processualmente irrilevanti e marginali, utili però per la ricostruzione del più generale clima dell’epoca. Così, nel fascicolo di Giuseppe Palermo, che dichiara di frequentare giornalmente il comune di Seminara dove gestisce la Tipografia del Santuario che si trovava nei locali del Palazzo Municipale. A lui dunque si deve la stampa della Platea Aquino uscita appena due anni prima, nel 1932, ed a me giunta in fotocopia da Franco Nostro che a sua volta la fotocopiò da esemplare che si era conservato presso il Municipio. In altri fascicoli si adduce lo stato di salute come attenuante. Insomma, questi pretesi sovversivi ed oppositori del regime non mostrano vocazione di martirio. Nel verbale sottoscritto in Questura, a Reggio, e confermato al processo, il Palermo dichiara: “Non appartenni mai ad alcun partito politico perché ritengo che tutti i partiti con le teorie loro rappresentano una tirannia per l’umanità”. Pur frequentando Seminara in ragione del suo lavoro, dichiara di non conoscere i seminaresi implicati nel processo, e cioè: Santaiti Domenico, Gioffrè Vincenzo, Morabito Lorenzo Francesco, Melara Pasquale.

Troviamo finalmente il fascicolo di Domenico Santaiti, che è contenuto in due Buste. Intanto è definito in epigrafe come “carattere violento”, ossia “uccise un uomo”. Dal consueto verbale redatto dai funzionari di polizia e fatto poi sottoscrivere si apprende quanto segue. Conobbe il barbiere nella casa del tipografo Marafioti, dove si era recato con il sarto di Seminara Vincenzo Gioffré. Era partito per Roma il 25 gennaio 1934 in cerca di lavoro, appoggiando presso tal Bonaccorso.. Si dichiara sinceramente pentito di aver dato un poco di retta al barbiere. Nel successivo processo verbale, redatto presso il Tribunale speciale e fornito di maggiori garanzie processuali, il Santaiti non si riconosce colpevole del reato ascrittogli. Si parla negli atti di una perquisizione con esiti negativi nella casa del Santaiti. Ed ancora si apprende che aveva fatto parte fino all’anno X del Fascio giovanile di Seminara.

Di Vincenzo Gioffré leggiamo che aveva fatto parte per l’anno XI del Fascio Giovanile di Seminara e di ciò si faceva scudo dall’accusa di attività comunista. Ma si osserva anche che il detto Fascio non lo aveva reiscritto per l’anno XII, avendo in lui notato uno scarso interesse per l’organizzazione giovanile fascista. Nell’interrogatorio presso la Questura si legge che gli era stato chiesto di lasciare il Fascio per iscriversi al partito comunista. In una supplica accorata il Gioffrè nega ogni addebito di filocomunismo, protestando invece la sua fede fascista, che risale a suo padre Natale che allo scoppio della guerra venne dall’Argentina per servire la patria e fu capo squadra dei primi fascisti di Seminara. Poi si ammalò gravemente lasciando la famiglia in miseria ed in eredità la sua malattia. Vincenzo fu assolto per insufficienza di prove.

Il fascicolo di Vincenzo Gioffrè contiene, insolitamente, un inserto di epoca post-fascista, per l’ottenimento di un “assegno di benemerenza”. Nei documenti allegati si fa cenno di un certificato rilasciato il 24 agosto 1959 dal dott. Vincenzo Maisani che attesta di aver visitato nel 1934 nel carcere di Seminara il Gioffrè colto da attacco di “lipotimia” e di averlo successivamente riscontrato affetto da “psiconevrosi di probabile natura traumatica”. Dall’attività istruttoria della procura militare fu però rilevato che non risultava “che il Gioffrè sia stato mai ristretto nelle carceri giudiziarie di Seminara né che sia stato ammalato o abbia presentato istanze tendenti ad ottenere il ricovero in qualche ospedale”. Si rileva altresì che il richiedente la pensione fu assolto per il reato ascritto dal Tribunale Speciale non essendo emersa nessuna prova sicura sulla sua partecipazione alla cellula comunista. Nel caso in specie si assiste ad un conflitto di competenza tra la Procura Militare che rifiuta di consegnare il fascicolo del Tribunale Speciale e la Corte dei Conti che lo richiede, protestando di non volere un “parere” ma il fascicolo stesso. Il conflitto si risolve dopo ripetute richieste e ripetuti dinieghi con l’invio di fotocopia autenticata in data 16 maggio 1966. L’intero fascicolo sarebbe stato al tempo stesso istruttivo e divertente se non fosse ancor prima patetico. Non sappiamo se al fine il Gioffrè ottenne l’agognato “assegno di benemerenza”. Occorrerebbe una ricerca presso la Corte dei Conti, ma i fatti sono forse troppo recenti per averne la visione archivistica.

L’individuazione di questo Vincenzo Gioffrè nel ricordo dei posteri non è agevole. La fotografia del 1934 a me non dice nulla. Esaminando il fascicolo del CPC[42], nel consueto ordine casuale, riporto le informazioni e le interpretazioni che seguono. Anche questo Vincenzo era un sarto, professione diffusa in Seminara, ancora ai tempi della mia infanzia, quando era del tutto normale recarsi da un sarto per farsi fare un vestito. Oggi purtroppo questa consuetudine è cosa da ricchi, ma allora era la norma. In una nota prefettizia del 12 maggio 1934 si apprendono cose già note dal fascicolo del Tribunale Speciale, che concluse per la assoluzione. Tuttavia, nella detta nota prefettizia si ammette che “l’individuo in oggetto, il quale risulta di buona condotta morale, non aveva dato in passato motivi a rilievi di natura politica” ed era anzi iscritto al Fascio Giovanile di Seminara. L’operazione di polizia in Palmi nel 1934 sembra un esito inatteso. Vincenzo ha frequentato la terza elementare. In guerra era di stanza a Tripoli, dove continuava ad essere sorvegliato. Il fascicolo reca l’intestazione “ammonito politico”, comunista, denunziato al tribunale, scarcerato, condonato. In data 4 agosto 1937 si legge che “l’individuo in oggetto risiede tuttora in Seminara”, mantenendo “immutati i propri sentimenti politici”. Lo stesso giudizio si ripete in data 12 ottobre 1938. In data precedente, cioè al 27 maggio 1936, si legge che “agli effetti del servizio schedario si comunica che S.E. il Capo del Governo per suo atto di clemenza, in occasione della vittoria delle armi italiane in Etiopia, ha condonato l’ammonizione inflitta al comunista in oggetto”. Di qualcosa che abbia a che fare con la salute di Vincenzo si ha notizia in data 3 marzo 1936, comunicandosi che “il 27 febbraio l’ammonito in oggetto fece ritorno in Seminara, avendo ottenuto dal 244° Reggimento Fanteria altri sei mesi di licenza di convalescenza su proposta dell’Ospedale Militare di Messina”. In precedenza aveva già fruito di “altra licenza di convalescenza di giorni trenta”, cioè a decorrere dal 23 gennaio 1936. In data 24 dicembre 1935 apprendiamo che “lo ammonito politico trovasi in Seminara per usufruire di 90 giorni di licenza di convalescenza”, ed è forse questa la prima licenza. Vincenzo era stato chiamato alle armi il 23 gennaio del 1935. Ci avviciniamo alla questione relativa alla domanda postbellica di pensione con una nota prefettizia del 2 luglio 1934, dove si legge di una scarcerazione in data 26 giugno su ordine del Tribunale Speciale e con ordine di “rimpatrio obbligatorio a Seminara”. Dai documenti del fascicolo non risulta il luogo della carcerazione di Vincenzo, ma non sembra che sia stato carcerato in Seminara.

Il fascicolo di Pasquale Melara, nato nel 1914, ebanista in Seminara, non si distingue per tipologia dai precedenti, fatta eccezione per quello assai singolare del Gioffré. Tra i documenti allegati si trova una innocua lettera dove  si inizia asserendo che “sotto un punto di vista, le cose di oggi vanno ben peggio di quelle di una volta”. Interrogato al riguardo l’imputato nega un qualsiasi significato politico. Anche questo fascicolo si chiude con un autografo dove il Melara attesta che il verbale firmato in questura gli fu estorto con la forza. Casca dalle nuvole all’accusa di far parte di una cellula comunista. Era ben vero che lui aveva inteso parlare dei comunisti nella sua infanzia, ma come dei mostri. Dopo di allora non ne aveva più sentito parlare. Il fascicolo contiene un altro autografo dove “il detenuto Melara Pasquale dichiara di non essere un comunista”. Segue una supplica a Mussolini della madre di Pasquale, vedova con un figlio in carcere.  Un’osservazione di carattere generale è da fare sulla “legalità fascista”. Dagli incartamenti non si ricava in alcun modo l’impressione che i giudici fascisti non fossero a loro modo rigorosi ed equi nella ricerca della “verità”, ossia nella contestazione del reato ascritto, che all’epoca consisteva nell’appartenenza ad una organizzazione comunista, dichiarata appunto illegale. In pratica, non sembra che il tribunale speciale si comportasse in modo diverso dai tribunali ordinari. Ciò che lo distingueva era appunto la specialità del suo oggetto. Vengono infatti regolarmente conservati ed archiviate tutte le dichiarazioni di confessioni estorte con la forza ed abbondano negli atti processuali i provvedimenti di clemenza ed amnistia, indizio di un potere politico che non si sentiva minacciato da fittizie riunioni presso un barbiere palmese.

 

42. L’attività comunista in Seminara nel 1934. –Di qualcosa che più specificamente si svolgeva a Seminara si ha notizia da una lettere intercettata dalla Questura e proveniente da Parigi. In questa lettera si usa l’abbreviazione S. che starebbe per Seminara, mentre C.F. starebbe per Comitato Federale[43]. La lettera dattiloscritta, con data 15 marzo 1934, vuole essere una “relazione di quanto avvenne a S.” L’estensore che si firma C.F. scrive che nello scorso anno, e cioè nel 1933, dopo il “nostro” ritorno dal carcere si era trovato tutto a “catafascio”. Ma riporto testualmente ciò che meglio si presta ad una citazione integrale:

 

Abbiamo pensato subito alla riorganizzazione del movimento e dopo lunghi sacrifici siamo riusciti nell’intento. Dopo aver preso conoscenza con S. siamo venuti a conoscenza di quanto avveniva in quella località. Certo che l’affare era un poco complicato ed abbiamo pensato di aprire un’inchiesta. Abbiamo interrogati tutti quelli che erano a conoscenza dei fatti, portandoci poi sul luogo, e ci è risultato che, in fondo, non si trattava altro che di attriti personali. Le questioni avvenivano fra quelli che furono in corrispondenza con voi vecchi elementi, ma di nessuna concessione (sic) politica, ed un giovanotto, nuovo nell’organizzazione. Per il fatto che quest’ultimo s’imponeva (sic) alle ingiustizie che facevano i primi, che erano formati in Triade incominciarono a perseguitarlo.

A S. si espelleva un compagno, arrivando personalmente ai compagni e facendogli mettere una firma in un pezzo di carta, che valeva come assunzione all’espulsione… Con questo sistema, voi capite benissimo che non si poteva discutere la responsabilità o meno del giudicando.

L’organizzazione era formata d’un modo ridicolo e loro non volevano riconoscerlo. Insomma, questi dirigenti erano dei dittatori e continuano ad esserlo ancora. Dopo esserci approfonditi dei fatti, e dopo averne assicurata la loro responsabilità, il C.F. si è pronunciato dando sei mesi di sospensione a due di loro e sei mesi a quell’elemento nuovo.

Questa deliberazione fu un fulmine a ciel sereno. Hanno incominciato a lanciare… ed hanno dichiarato che loro non riconoscono il F. né la punizione inflittagli. Da quell’epoca continuarono sempre a fare i loro comodi. Premettiamo che fummo invitati da loro stessi a giudicarli. Dopo di ciò siccome immaginavano che noi tendevamo a creare un movimento con altri elementi un giorno venne la Triade a farci questa dichiarazione: “Noi siamo venuti per affidarvi e se dietro vostre pulcinellate dovranno subire delle rappresaglie, vi avvertiamo che noi dichiareremo tutto”. Dopo questa dichiarazione il F. prese i provvedimenti di espulsione  senza però comunicarla. A loro li abbiamo abbandonati ed abbiamo formato un movimento di elementi coperti. È buono che sappiate che l’altro compagno la punizione l’ha accettata e scontata nello stesso tempo. Ciò dimostra una certa disciplina.

Che ne pensate? Vi avvertiamo che la Triade è formata di elementi pericolosi. Basta dirvi che il maggiore di loro s’interessa anche di cose ecclesiastiche. Noi intanto ci prepariamo per le elezioni. Se vi sarà possibile, fateci una realazione sulla situazione internazionale. Saluti fraterni il C.F.

 

Se questa lettera, scritta con inchiostro simpatico e decifrata dal ministero dell’Interno, si riferisce effettivamente ai comunisti operanti in Seminara negli anni trenta, vi si trova descritto un aspetto rilevante per la nostra ricostruzione della storia seminarese contemporanea, cioè del secolo XX. Resta da individuare i nomi dei soggetti implicati. Con la testimonianza dei superstiti dovrebbe essere ancora possibile. Ma vediamo cosa altro possiamo ricavare dai fascicoli del Tribunale Speciale. Intanto la corrispondenza intercettata arrivava presso il laboratorio di La Scala Giosué, dato come palmese, benché il cognome La Scala sia presente anche in Seminara[44]. Detta corrispondenza era intestata a Borgese Salvatore che lavorava presso il La Scala. A sua volta il Borgese, messo alle strette, dichiarava che riceveva questa corrispondenza dall’estero, che neppure apriva, per conto del barbiere Bongiorno, al quale la consegnava.

 

43. I Catanzariti. – Nel Casellario Politico Centrale sono conservati fascicoli a tre soggetti tutti con lo stesso cognome Catanzariti e fra loro imparentati. Si tratta di Antonio di Vincenzo, Giuseppe di Vincenzo e Giuseppe di Francesco. Vediamo cosa possiamo apprendere. Di Giuseppe Catanzariti, nato nel 1896, si dice che era di professione sarto impiegato privato. Risiedeva nell’America del Nord ed aveva domicilio in Seminara. È rubricato come comunista. La fotografia allegata è del 1927. Leggo i documenti nell’ordine casuale di successione, annotando ciò che appare rilevante ovvero di un qualche interesse. Infatti, a differenza del materiale documentario antico assai scarso, con quello moderno abbondante e pletorico occorre fare una necessaria opera di selezione, sintesi ed interpretazione. Il povero Giuseppe era controllato fin in America, a Brooklin, dove risiedeva. Il console generale Vecchiotti comunicava in data 26 gennaio 1940 che “il nominato Catanzariti Giuseppe risiede tuttora in Brooklin e dagli ulteriori accertamenti effettuati è risultato confermato che si tiene in disparte e che la sua condotta morale e politica non dà luogo a rimarchi”. Da altro documento consolare del 1938 interessa ai nostri fini notare che riceveva la corrispondenza in Brooklin, al 1748 della 86th Street, ed alloggiava non in casa propria ma “in una camera mobiliata” al n. 1452 della stessa strada. A ritroso nel tempo, sembra che la principale attività investigativa consista nel rintracciare il recapito del seminarese emigrato. Questa l’attività dei nostri diplomatici dell’epoca. Brillante carriera! In un documento del 28 aprile del 1936 leggiamo sempre a firma Vecchiotti che il nominato “è ritornato presso la propra famiglia al No. 147 St. Ann’s Avenue”, nel Bronx, e che “continua a professare idee socialistoidi ed è accanitamente avverso al Regime”. Da altro domumento apprendiamo che era, nel 1936, impegato presso una banca. Sempre leggendo a ritroso, senza ordine cronologico, troviamo una nota di carattere privato in data 3 febbraio 1936, dove si legge che il nominato avrebbe abbandonato nel Bronx “la propria moglie con una bambina di circa tre anni”. Le numerose carte dello schedario dei sovversivi danno in prevalenza notizia di una attività volta all’inseguimento dell’indagato nei suoi vari spostamenti e recapiti. Nulla invece che descrivi la sua pericolosità in terra straniera. In una nota prefettizia del 7 maggio 1930 si legge, per averlo appreso da tal Pellegrino Antonio ritornato dalle Americhe che il nominato “trovavasi a Bronx, dove avrebbe preso moglie”. Ed ancora: “Si vuole che il Catanzariti, il quale esercita il mestiere di sarto, cambi spesso paese per sfuggire alle ricerche della polizia”, ovviamente si intende delle spie italiane operanti in America, dove non risulta che il nominato abbia violato legge alcuna. Prima che in America si trovava il nominato il Marsiglia, da dove il consolato italiano, a firma Faralli, in data 3 dicembre 1939 comunicava che “non esistono in questi atti precedenti a nome di Catanzariti Giuseppe di Vincenzo da Seminara”.

Più interessante una nota prefettizia dell’11 ottobre 1929 dove si legge che “il sovversivo Catanzariti Giuseppe ritornò dall’estero nel Comune di Seminara il 1° giugno 1927. Espatriò nuovamente clandestinamente nel luglio o agosto 1928”. In un’altra nota prefettizia del 4 agosto 1929, mentre si trasmettono alle autorità consolare il probabile recapito estero, si osserva curiosamente che “il Catanzariti, durante la sua permanenza nel Comune di origine, mantenne regolare condotta in genere” e dunque si ammette che si esercitava una gratuita persecuzione verso il poveretto. Il suo crimine veniva segnalato in data 12 ottobre 1927  dal consolato d’America essendo “risultato che il nominato Catanzariti Giuseppe ha manifestato in qualche occasione d’essere di idee socialiste e contrario al Fascismo”, ma aggiunge il Console Reggente: “mi viene però confermato ch’egli non era affiliato a gruppi sovversivi e non ha svolto attività politica”. In data 27 ottobre 1927 una nota prefettizia recita: “Egli esercita il mestiere di sarto ed è residente e domiciliato nel Comune di Seminara. È sospetto simpatizzante del partito comunista”. Diversa la nota contemporanea del console a New York: “dalle indagini effettuate non è risultato che il nominato abbia svolto attività politica durante la sua permanenza in questa città ed anche la sua condotta morale non ha dato luogo a rimarchi”. L’ultima carta dell’inconsitente fascicolo, dal 1927 al 1940, è una nota prefettizia del 30 giugno 1927 con la quale ci si rammarica che il R. Console d’Italia in New York, con nota del 13 maggio 1927, comunicava di aver rilasciato il passaporto pel rientro nel Regno al connazionale Catanzariti Giuseppe. Questi giungeva effettivamente in Seminara il 1° giugno, ma “poiché, egli, prima del suo espatrio, aveva manifestato idee sovversive, prego (è il Prefetto che parla alla Direzione Generale di P.S.) compiacersi fare assumere informazioni per conoscere quale condotta politica abbia tenuta all’estero. Ho disposto, intanto, sul suo conto attenta vigilanza”, durata in effetti fino al 1940 almeno.

Più consistente e fondato il fascicolo di Giuseppe Catanzariti, nato nel 1891, da Francescantonio e Savera Morano. Non si capisce per ora se era parente dell’altro Giuseppe Catanzariti, pure di Seminara e coetaneo. La scheda dattiloscritta, del 25 marzo 1927, della Prefettura traccia un profilo dal quale attingiamo. Salvo errore che potremo verificare nel corso della lettura del fascicolo, considerando la data, può darsi che per ragioni di omonimia ci si sia accaniti contro l’altro Giuseppe Catanzariti, dal cui fascicolo non emerge nulla che giustifichi l’accanimento delle autorità di regime. Di quest’altro Giuseppe si dice che non gode buona fama nella pubblica opinione per le sue idee politiche. Ha carattere impulsivo, poco educato, ecc. Nel passato riceveva sussidi dal partito comunista. Verso la famiglia si comporta bene. Frequenta compagni di fede ed ebbe molta influenza nel passato essendo stato per diversi anni consecutivi segretario della sezione comunista di Seminara. È in corrispondenza con affiliati al partito sia nel Regno che all’estero. Dalla sua infanzia fino all’età di 19 anni dimorò a New York. Riceveva stampa clandestina e ne faceva distribuzione. È tuttora tenace assertore delle proprie idee che professa con ostentazione e spavalderia. Verso le autorità serba contegno poco deferente. Prese parte a tutte le manifestazioni di partito che si svolsero nella provincia e si fece promotore di comizi. È capace di commettere atti terroristici, ma non ha riportato imputazioni o condanne. È annotato che in data 26 dicembre 1926 venne denunziato pel confino di polizia, il 29 gennaio 1927 venne dalla Commissione provinciale dichiarato ammonito in sostituzione del provvedimento di confino, il 17 febbraio 1927 venne sottoposto all’ammonizione, il 22 febbraio 1927 venne denunziato in stato di arresto per oltraggio a militari dell’Arma e condannato con sentenza del 4 marzo a lire 300 di multa oltre le spese giudiziarie. Il fascicolo si estende fino al 1942, con schede trimestrali di sorveglianza dove però si legge in genere “nulla da segnalare”. Invece, in data 10 febbraio 1938 si legge “trovasi tuttora detenuto in attesa di giudizio per il reato di cui al precedente cenno”. In data 8 agosto 1938 si legge che con “sentenza in data 11 luglio u.s. della 2ª Sezione Corte di Assise di Roma è stato condannato ad anni 17 mesi tre di reclusione, ed alla libertà vigilata, per il reato di cui al cenno, ecc.”. Apprendiamo di che cosa si tratta nella nota del 25 settembre 1937: “il 19 and. Si è reso responsabile di omicidio volontario in persona di Morabito Ernesto di Lorenzo, dandosi poscia alla latitanza”. Ma “il 29 settembre 1937 è stato tratto in arresto ed associato nelle locali carceri”. Procedeno a ritroso e casualmente nella lettura del fascicolo troviamo nella tipologia di schede che in data 17 febbraio 1929 “ha terminato di scontare il biennio dell’ammonizione. Si è dato a stabile lavoro e non svolge attività ostile al Regime”. Apprendiamo in data 8 settembre 1931 che “dimora tuttora in Roma e non dà luogo a speciali rilievi con la condotta politica. È vigilato”. Dal 17 luglio 1930 si era “trasferito a Roma presso il proprio cognato Laganà Francesco a scopo di lavoro”. Il 17 agosto 1928 veniva “diffidato a munirsi di carta d’identità con l’obbligo di portarla sempre addosso e di esibirla a richiesta”. Ed è questa l’ultima scheda del fascicolo che traccia ad un tempo un profilo politico ed uno morale, culminato quest’ultimo in un omicidio volontario di cui non è dato il movente.

Altre carte lo danno “irreperibile” in data 16 novembre 1935, ma il “noto comunista” è rintracciato dalla Questura di Roma il 28 novembre ed è quindi riattivata la vigilanza. Interessante la nota di risposta della Questura di Roma del 24 agosto 1932 con la quale si riferisce che “Catanzariti Giuseppe di Francescantonio risiede nella Capitale da circa due anni, durante i quali non ha dato motivo a rilievi con la sua condotta in genere. Poiché il Catanzariti, pur non spiegando alcuna attività contraria al Regime, non ha dato ancora sicure prove di ravvedimento, quest’Ufficio non ravvisa l’opportunità di radiarlo dal novero dei sovversivi. Per quanto concerne la richiesta del certificato di buona condotta, esprimo parere favorevole alla concessione in parola essendo il Catanzariti da molti mesi disoccupato ed in gravi ristrettezze finanziarie”. E dunque il Regime è capace di comprensione. Il sovversivo deve pur campare ed è preferibile che lo faccia con un’onesto lavoro.

In una supplica al Capo del Governo dello stesso Catanzariti in data 18 febbraio 1932 si apprende delle sue benemerenze di guerra, sancite da medaglie, della sua invalidità per ferite riportate. Si chiede il certifificato di buona condotta, necessario per un concorso e negato per ragioni politiche. La supplica contiene il necessario ravvedimento politico: “il mio passato può avermi fatto deviare…”. Si accenna anche, en passant, dell’inaugurazione di una chiesa (cattolica) in Barrittieri fatta dal vescovo Albera, al quale il Catanzariti aveva confessato i suoi peccati politici. Il documento reca il timbro della Segreteria Particolare del Duce che ne prese visione e che certamente diede parere favorevole. Il Catanzariti aveva venduto la casa in Seminara, trasferendosi in Roma ed aveva così dato fondo a tutte le sue sostanze. La miseria più nera lo attanagliava. Dopo la concessione del certificato di buona condotta e della successiva condanna per omicidio non sappiamo più nulla di quest’uomo che pur suscita compassione.

L’ultimo Catanzariti del C.P.C. è un Antonio di Vincenzo, nato nel 1899 e fratello del precedente, cioè Giuseppe di Vincenzo e Maria Militano. La sua scheda lo dice falegname, celibe, domiciliato a Seminara. È di carattere impulsivo, poco educato, d’intelligenza pronta, di scarsa cultura e privo di titoli accademici. Non gode di buona fama. Non ha beni di fortuna. È lavoratore fiacco e vive a carico della famiglia. In passato riceveva sussidi dal partito socialista, al quale era iscritto. Sembra che il partito fosse per i fratelli Catanzariti un ente di assistenza. Antonio non ha ricoperto cariche. Frequenta compagni di fede, ma ha poca influenza dentro il partito. Fu in Francia. Era abbonato ai giornali di parti che riceveva e distribuiva. Anche lui come il fratello ha fatto sempre propaganda delle proprie idee che professava con ostentazione e spavalderia. Non è capace di tenere conferenze. Verso le Autorità mantiene contegno riservato. Ha preso parte a tutte le manifestazioni di partito svoltesi in passato nel circondario di Palmi. Riportò imputazioni per lesioni personali ed ebbe i consueti provvedimenti di ammonizione e di denunzia al confino. Il suo fascicolo contiene le schede trimestrali di sorveglianza, già viste nel fascicolo del fratello maggiore. Anche lui dopo i provvedimenti amministrati vive in genere senza dare luogo a rilievi particolari di carattere politico. In data 28 dicembre 1927 si legge del godimento di provvedimenti di clemenza con “diffida di serbare per l’avvenire irreprensibile condotta morale e politica”, mantenendo tuttavia la sorveglianza. La radiazione dall’albo dei sovversivi, e cioè dal C.P.C., è disposta in data 17 gennaio 1931, dietro segnalazione favorevole dell’Arma.

 

44. I due Putrino del Casellario Politico Centrale. – Al modo consueto riporto quanto trovo nel fascicolo intestato a Carmine Putrino, nato nel 1889. Se il Mercurio Putrino, pure di Seminara ed al quale è intestato un altro fascicolo, è figlio di Carmine, tra i due vi è una differenza di appena 18 anni. Nei due  distinti fascicoli manca qualsiasi riferimento ad una parentela tra i due e pertano vengono da me considerati per ora distintamente. Manca la foto segnaletica. In data 5 agosto 1940 Carmine Putrino è dato come residente in Francia, a Nizza. Non si hanno notizie sul suo comportamento politico. Si dice anche che in Seminara non ha parenti. Di professione era calzolaio e in una nota prefettizia del 18 maggio 1919 si riferisce che non aveva precedenti penali e che prima di emigrare era di buoni precedenti morali e politici. L'unico foglio che giustifica l'inserimento nel Casellario Politico Centrale è una nota manoscritta del Ministero degli Interni in data 15 aprile 1919 dove si legge che Carmelo Putrino – infine, nel 1940, rettificato in Carmine – mentre si trovava emigrato in Francia aveva partecipato a riunioni di propaganda bolscevica e si chiedevano pertanto alla prefettura informazioni sui precedenti morali, politici e giudiziari. Null'altro emerge dal fascicolo.

Diverso il caso di Mercurio Carmine che in una nota prefettizia del 4 settembre 1940 si trova detenuto in Sardegna per espiare la pena di anni 5 e mesi 9 di reclusione inflittagli dalla Corte di Appello di Catanzaro con sentenza del 27 novembre 1937 e 27 gennaio 1938 per furto, violenza e resistenza a pubblici ufficiali e lesioni. Ma stranamente si legge con data 21 ottobre 1938 che "l'individuo in oggetto risiede tuttora a Palmi e mantiene buona condotta in genere". A ritroso nel tempo, il 7 settembre 1937, leggesi la notizia della condanna a tre anni di reclusione e lire 2000 di multa col condono di anni 2 e dell'intiera multa inflitta dal Tribunale di Palmi il 27 luglio 1937. Si trovava al momento detenuto perché responsabile di violenza e resistenza ai danni del sottocapo delle guardie carcerarie di Palmi, ma non vi era nessun rilievo dal punto di vista politico. Ancora prima, in data 20 maggio 1936, si nota che manteneva politicamente contegno riservato. Il pregiudicato ed antifascista Mercurio Putrino veniva dimesso dalle carceri il 18 novembre 1932 per effetto di un'amnistia. Risiedeva in Seminara senza dare più luogo a rilievi di natura politica. Il 23 novembre 1930 era stato arrestato dall'Arma di Palmi per esecuzione mandato cattura per violenza carnale. In altra nota prefettizia del 3 ottobre 1930 si apprende che lo stesso era stato inizialmente condannato per offesa a S.E. il Capo del Governo, non dando più luogo successivamente a rilievi di carattere politico. Si rendeva però responsabile di diversi reati comuni (furto, lesioni, violenza carnale), per cui fu di volta in volta denunciato alla competente Autorità Giudiziaria. Il giovane Mercurio Putrino, appena sedicenne, era stato arrestato il 1° novembre 1926 in Seminara per offesa al Capo del Governo. La pena fu di 4 mesi di reclusione e 500 lire di multa, ma in seguito non commise più reati di natura politica. La sua condotta morale era invece definita equivoca e lo si riteneva un affiliato alla malavita.

 

45. Un seminarese caduto nella guerra civile spagnola: Domenico Nocito. – Dalle letture in ordine casuale del fascicolo del CPC si ricavano le informazione appresso riportate. Da un documento segreto del Ministero della Guerra con data 30 novembre 1938 si apprende che un "fiduciario riferisce che Domenico Nocito di Francesco nell'aprile del 1937 si trovava nell'Hospital de Sangre di Madrid ove rimase fino al 16 giugno 1937 epoca in cui raggiunse in Valencia la brigata Garibaldi. Secondo affermazioni di alcuni legionari ex prigionieri in Spagna, il Nocito sarebbe in seguito caduto sul fronte rosso di Aragona". Al riguardo venivano in ogni caso disposte indagini. Con nota del Ministero degli Interni in data 26 novembre 1938 il Nocito è nominato in quanto "sovversivo". La Prefettura informa in data 10 ottobre 1938 che il Nocito durante la sua permanenza in Seminara aveva tenuto buona condotta e così anche nella frazione di Pietrastorta di Reggio Calabria, dove sposò Maria Marra, dalla quale ebbe quattro figli che lasciò in tenera età. Il Nocito prese parte quale legionario volontario alla campagna di Abissinia e dopo si arruolò pure volontario per la guerra spagnola. La nota prefettizia assicura che è stato disposto per il sequestro delle somme che eventualmente dovessero pervenire ai familiari del predetto. Segue una annotazione a penna dove si chiede conferma della notizia della morte. Pare di leggere che il Nocito "sarebbe passato a combattere nelle fila dei rossi spagnoli". E pare un poco strana questa rapida conversione dalle armi fasciste, in quanto volontario di Abissinia, a quelle rosse spagnole dopo essersi già arruolato fra i legionari fascisti inviati in Spagna. Ed infatti in data 10 novembre 1938 si apprende da un "Appunto" risalente ad un dirigente dell'OVRA e riguardante una pluralità di soggetti come durante la cattura e prigionia di camicie nere queste venissero sottoposte ad opera dei fuoriusciti italiani ad un particolare trattamento, a propaganda e a sistemi di allettamento per indurli a passare nelle fila nemiche. Questa propaganda marxista, infruttuosa per la quasi totalità dei prigionieri italiani, sarebbe tuttavia riuscita nel suo intento per alcuni pochi soggetti elencati fra i quali la camicia nera Nocito Domenico di Seminara contrassegnata con il numero 132688. La notizia data dall'agente OVRA con il condizionale proviene dagli interrogati dei prigionieri rimpatriati e giunti a Napoli. Una nota prefettizia del 7 aprile 1938 già riferiva che non era stato possibile identificare l'antifascista Nocito Domenico di Francesco arruolato nelle brigate internazionali del governo comunista spagnolo e caduto nel fronte di Aragona. Un appunto manoscritto del Ministero dell'Interno del 4 marzo 1938 ripete sempre con il condizionale la notizia che il Nocito si sarebbe arruolato nelle Brigate Internazionali, ma poi prosegue dicendo che lo stesso "risulta" caduto in combattimento sul fronte di Aragona. Ad ogni buon conto si dispone il sequestro di eventuali rimesse di danaro del soccorso rosso che dovessero pervenire ai familiari. Il Prefetto di Salerno al quale la Nota era stata inoltrata rispondeva che il Nocito era del tutto sconosciuto in Nocera Inferiore. L'ultimo foglio del fascicolo, da noi letto nella successione nella quale lo abbiamo trovato, è una velina del Ministero dell'Interno, dove è data una lista di sei nominati, dove per ultimo la camicia nera Domenico Nocito è detto domiciliato in Nocera Inferiore, ma non si trova nessun riscontro nel fascicolo relativamente a questa attribuzione di domicilio, che pare fantasiosa o erronea. Si ammette come fondata la "risultanza" per la quale il Nocito sarebbe caduto in combattimento sul fronte di Aragona. Tale risultanza si basa in definitiva sulla nota segreta del Ministero della Guerra, Comando del Corpo di Stato Maggiore - S.I.M., a firma il tenente colonnello Costabile Verrone, in data 9 settembre 1938 e sul rapporto del dirigente dell'OVRA Comm. Manzi che si basa sull'interrogatorio dei prigionieri rimpatriati ed accuratamente interrogati i data 9 ottobre 1938. Riscontri potrebbero forse venire dagli archivi spagnoli, se ve ne sono.

 

46. L’incendio della chiesa dei Cappuccini. – Elementi documentali dell’incendio della chiesa dei Cappuccini si ricavano qui dalla minuta della denuncia ai carabinieri fatta dal Parroco dell’epoca Mons. Dr. Vincenzo Tigani. Giova ricordare che la chiesetta costituiva l’ultimo legame organico con la Seminara esistente prima del terremoto del 1783. Sembra che miracolosamente essa fosse sopravvissuta all’azione devastatrice degli ultimi due terremoti, cioè del 1783 e del 1908, ma non – parrebbe – alla furia vandalica degli uomini. Già, proprio così! Le dicerie che però non si trasformano in accusa e prova testimoniale vogliono che l’incendio sia stato di natura dolosa, concepito nel clima politico dell’epoca. Le indagini non pare abbiano approdato a nulla. Comunque, stando a ciò che può ricavarsi dai documenti, e cioè per ora dalla citata minuta, l’incendio divampò tra la notte del 24 e 25 giugno 1976. L’arcidiacono Tigani denunciava ai carabinieri per le loro “diligenti indagini e per i relativi provvedimenti di legge” come ad opera di ignoti fosse stato appiccato un fuoco che assunse considerevoli proporzioni e devastò la “vetusta, storica chiesetta, detta dei Cappuccini”, distruggendo “completamente tetto, soffitto e quanto ancora si custodiva di arredi e mobili, appartenenti alla stessa chiesetta, cara alla devozione e sacra alle antiche memorie della cittadinanza, per il culto secolare che in essa si prestava alla S. Immagine dell’Ecce Homo”, che per fortuna era stata recentemente trasferita nella Basilica parrocchiale, “date le condizioni della chiesetta, isolata, già altre volta presa di mira ed oggetto di furti e di atti vandalici”. Non ha dubbi il Parroco denuncianti sulla natura doloso dell’incendio, insistendo solo sul fatto che purtroppo tali autori restavano ignoti e raccomandando infine che venissero fatte “attente e diligenti per assicurare alla giustizia eventuali responsabili”. L’aggettivo “eventuali” pare tuttavia contradditorio con la certezza espressa dal denunciante circa la natura doloso dell’incendio. Qualche ulteriore informazione, per lo meno documentale archivistica, dovrebbe ricavarsi dall’archivio corrente della stazione dei Carabinieri di Seminara, presso i quali ci rechiamo oggi stesso per una ricostruzione storico contemporaneo della triste vicenda.



[1] Raccogliere la letteratura esistente al riguardo.

[2] Raccogliere qui tutte le fonti in ordine cronologico.

[3] Cercare e mettere in nota probabili errori del Genova che confonde il castello con un luogo fortificato. Era invece, principalmente nel meridione, un terreno di nuova messa a coltura, regolato da un apposito contratto. La fortificazione poteva essere a volte una conseguenza, ma non un dato originario e costitutivo.

[4]  Registro della Cancelleria di Luigi III d’Angiò per il Ducato di Calabria 1421-1434. Ms. 768 della Biblioteca Majanes di Aix in Provenza. Regesti dei documenti a cura di Isabella Orefice, in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, 1977-78, p. 277-428. Qui n° 9 del regesto.

[5]  Per rendere possibile il governo della Calabria Luigi III ordinava nel 1423 al suo procuratore Antonetto Hermenterii di istituire i seguenti funzionari: giustizieri, capitani, castellani, secreti, gabelloti, fondicarii, credenzieri, erari, commissari, maestri di camera, giudici, assessori, notai d’atti, cappellani e tutti gli altri ufficiali necessari al governo di detto ducato (nn. 13, 14).

[6]  Registro, cit., n° 17.

[7]  Registro, cit., n° 72.

[8]  Registro, cit., nn. 84, 86.

[9]  Registri, cit., n. 151.

[10]  Registri, cit., n. 170.

[11]  Registri, cit., n. 172.

[12]  Registri, cit., n. 173.

[13]  Stabilendo noi convenzionalmente la numerazione del fascicolo, corrispondente a quella del reale numero di pagine, cfr. p. 1v del suddetto codice Marco.

[14]  Questa distinzione è oggi scomparsa ed assistiamo allegramente e spudoratamente ad un incameramento privato di dubbie “donazioni” che caso mai andrebbero all’ufficio. Si allude alla vicenda relativa ad alcuni beni archivistici su cui non ci si dilunga oltre per carità di patria.

[15]  Cfr. p. 5b secondo una nostra numerazione, più comoda, che seguiremo d’ora in poi.

[16]  Cfr. n° 26836.

[17]  La notizia è contenuta a pag. 65v del volume restaurato con intestazione “Seminara – Battesimo Matrimoni – 1633/1639” che insieme ad altri due fa bella mostra di sé nella stanza del Tesoro della Basilica Santuario. Un discorso a parte richiede la descrizione delle condizioni odierne dell’importante Archivio, ora finalmente in corso di riordino ed inventariazione. Cenni saranno fatti via via che se ne presenterà l’occasione.

[18]  Per la grafia del cognome si segue quella più recente e consolidata, quando il cognome si trova ancora diffuso al presente. L’instabilità grafica di uno stesso cognome o toponimo è fenomeno frequente nella documentazione scritta dei secoli passati.

[19]  Cfr. p. 46 e 75v del vol. battesimale citato nel testo.

[20]  Pag. 20 del volume citato.

[21]  Cfr. p. 47.

[22]  Vedi allegato numerato dal restauratore del volume battesimale citato come pagine 126 e 127. Le procure ed i documenti allegati, che richiedono uno specifico lavoro di trascrizione, sono particolarmente interessanti perché contengono dati atipici rispetto alla consueta formula battesimale.

[23]  Cfr. p. 81 del vol. citato.

[24]  Cfr. p. 91 del vol. citato.

[25]  Cfr. op. cit., 103.

[26]  Al momento in cui scrivo devo citare a memoria, non potendo accedere direttamente alla fonte, a causa di lavori edilizi. Stranamente, non ho annotato all’istante l’importante notizia, pressato dal prevalente scopo di ordinamento archivistico affidato alle mie cure. La notizia è però basata su esame autoptico della fonte mutila che mi riservo di trascrivere integralmente e di microfilmare.

[27] Si trova ora finalmente un fascicolo presso l’Archivio della Collegiata con titolo “Causa tra il Capitolo, Clero secolare e regolare di Seminara e i PP. Basiliani per l’intervento alle processioni”.

[28]  Di recente (agosto 1999) ha chiesto di fare ricerche genealogiche nell’Archivio storico parrocchiale un giovane con questo cognome proveniente dal Canada. Il cognome è in effettti all’epoca frequente, benché oggi da me mai udito.

[29]  Cfr. p. 140r del volume citato.

[30]  Cfr. p. 38 del volume citato.

[31]  Cfr. p. 68 del volume citato.

[32]  Op. cit., 82.

[33]  Op. cit., 85v.                                                                            

[34]  A p. 45v troviamo infatti una defunta di nome Carmela Seminara figlia di Vincenzo e di Maria Cannizzaro.

[35]  Cfr. a p. 4v del libro dei morti 1791-1797, restaurato e conservato nella stanza del tesoro del Santuario.

[36] Ministero degli Interni, Opere Pie, B. 397, fasc. 26.053/97-2°.

[37] Ministero degli Interni, Opere Pie, B. 397, fasc. 26.053/97-1°.

[38] Ministero degli Interni, Opere Pie, B. 397, fasc. 26.053/97-3°, dove si rinvia al 26.053 = 97 = 11 del 1878.

 

[39]  Ecco l’elenco completo: 1. Andiloro Cav. Avv. Giuseppe (assente); 2. Arcà Avv. Francesco (presente); 3. Campoliti Cav. Pietro (p.); 4. Candido Cav. Gennaro (a.); 5. Carafa cav. Alberto (a.); 6. Careri Cav. Carmelo (p.); 7. Carlizzi Comm. Avv. Francesco (p.); 8. Collura Giuseppe (p.); 9. Crispo Cav. Avv. Rocco (a.); 10. D’Amico-Vita Antonino (p.); 11. D’Andrea Cav. Ferdinando (p.); 12. De Blasio Barone Vincenzo (p.); 13. De Lieto Cav. Antonio (a.); 14. De Zerbi Cav. Gaetano (p.); 15. Falletti Cav. Avv. Simone (p.); 16. Femia Avv. Francesco (p.); 17. Fimmanò Cav. Avv. Michele (p.); 18. Garcea Gaetano (p.); 19. Giffone Cav. Orazio (a.); 20. Grio Comm. Vincenzo (p.); 21. Licastro Cav. Avv. Francesco (a.); 22. Manferoce Avv. Donato (a.); 23. Marcianò Cav. Filippo (a.); 24. Nesci Bar. Francesco (p.); 25. Oliva Cav. Avv. Giuseppe (a.); 26. Palermo Pasquale (p.); 27. Pelle On. Avv. Raffaele (p.); 28. Pellicano Cav. Francesco (p.); 29. Ranieri Cav. Francesco (a.); 30. Reitani Cav. Avv. Pasquale (p.); 31. Romano Cav. Avv. Antonio (p.); 32. Ruso Dott. Francesco (p.); 33. Sarlo Comm. Antonio (p.); 34. Scaglione Comm. Avv. Gaetano (p.); 35. Spagnolo Avv. Pasquale (a.); 36. Tavernese Avv. Pasquale (p.); 37. Terranova Cav. Avv. Ferdinando (p.); 38. Tripepi On. Comm. Avv. Domenico (a.); 39. Tripepi On. Avv. Francesco (a.); 40. Vitrioli Cav. Avv. Diego (a.).

[40] Un raggio di luce sulla Cronaca Amministrativa di Seminara. Risposta al Sig. Ferdinando Lanzo e Compagni. Ne è firmatario Giuseppe D’Elia. Il fascicolo di 36 pagine fu stampato dalla Tipografia Zappone di Palmi nel luglio 1911.

[41] Si rinvia a titi di d’Angelo di Reggio, ma non si danno altri estremi (p. 1).

[42]  ACS, CPC, B.2416, f. 75889: Gioffrè Vincenzo fu Natale.

[43]  Fasc. 4977, XVII, Fascicolo riservato intestato a Bongiorno Antonio ed altri 15.

[44]  Fin dal 1614 esisteva in Seminara, come risulta dagli atti parrocchiali, una chiesa di S. Maria della Scala, dove si celebravano matrimoni.

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Tabella 10: Ducal Curia di Seminara