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mercoledì 20 gennaio 2021

Relazione Lofaro su Melicuccà

 

Agente Demaniale LOFARO RAFFAELE

 

Trascritta da Giuseppe Antonio Martino

 

 

 

 

 

 

 

COMUNE DI MELICUCCÀ

 

 

 

 

 

RELAZIONE

 

 

 

 

 

sul demanio Bosco e Piani della Corona

 

 

 

(usurpazione De Leo Vincenzo)

 

 

 

 

 

 

Gerace

Tip. V. Fabiani

1911


 

 

Relazione

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Primo periodo storico (900-1767)

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Nel territorio di Melicuccà sul versante occidentale degli ultimi appennini, vicino lo storico Aspromonte, vi era un vastissimo tenimento con foreste e selve popolate da secolari piante di quercia e di castagno e ricco di terre libere e aperte, distinto in due regioni l’una detta BOSCO e l’altra Piano della CORONA formante una sola continenza che ab origine era l’unico patrimonio di quella antica università.

Esso dovette appartenere a quello sterminato numero di terre conquistate e convertite poi in feudi sotto i Normanni che o principi nei primi secoli del Cristianesimo donarono anco alla Chiesa e ai luoghi pii e di esso venne investito il Monastero di S.Elia che sorgeva nei dintorni dello stesso Bosco, dell’ordine di San Basilio Magno, dotato dagli imperatori di oriente onde fino a Roberto il Guiscardo si distingueva col nome di Monastero Imperiale.

Nel secolo XV essendo papa Pio II. Genese, il monastero di S. Elia subendo le vicende di tutti gli altri appartenenti al medesimo ordine, fu trasformato in Commenda ed ebbe i suoi Abati Commendatori che sovrastavano ai Monaci.

Posteriormente Papa Gregorio XIII da Bologna (1572-1585) decretò la separazione delle Mense conventuali dalle Abadiali e tale disposizione venne eseguita per il detto Monastero di S.Elia, nel 1601, con istrumento stipulato al tempo dell’Abate Commendatore Innaco d’Aragona cui veniva assegnato, nella divisione, l’intiero bosco riserbando e attribuendo alla Mensa conventuale il diritto di legnare per uso del Monastero in fondi di diversa natura, entro i limiti del detto Corpo demaniale ecclesiastico.

Il Cardinale d’Aragona stando a Roma e non potendovi esercitare una diretta vigilanza affidava la custodia e la amministrazione ai Commendatori di Santa Margherita dell’ordine Gerosalemitano di Malta, che succeduti ai Padri Benedettini di S. Eufemia del golfo e ai templari avevano sopra Melicuccà giurisdizione baronale e la esercitavano di persona risedendo nel loro castello di cui esistono tutt’oggi i ruderi per ricordare forse che se la feudalità è stata abolita come istituto giuridico viene ancora in liberi tempi ed impera di fatto, se non con le aborrite angarie, parangarie e prestazioni personali e reali, certo con privilegi parimenti odiosi ed esiziali comunque rivestite d’indennità.

Morto d’Aragona il bosco fu eretto a beneficio dallo stesso pontefice Clemente VIII, da Firenze il quale investiva il Collegio di Scozia in Roma, governato dai p.p. Gesuiti di tutti i diritti che l’Abate Commendatario del Monastero di S. Elia vi rappresentava rispettando alla mensa Conventuale, che continuò a godere gli usi e i diversi fondi che nella separazione e divisione anzidetta le erano stati conservati.

La Sacra religione di Malta e per essa la Commenda di Melicuccà o che avesse convertito in proprietà la custodia e l’Amministrazione che essa tenea del Bosco e che per altri titoli ne avesse avuto legittima concessione e successione era divenuta proprietaria di una terza parte del Bosco, ma veramente quando e come non si può dire ed affermare, nè stabilire altrimenti la provenienza.

Certo è la Commenda possedeva sul Bosco da remotissimo tempo, in ragione di una terza parte come risulta dal Cabreo del 1689 dove leggesi quanto appresso:

“Similmente detto signor Commendatore gode insieme con l’Abazia di S. Elia e per essa col Collegio di Scozia del pascolo di detto Bosco, quale affitto comincia dal giorno di S. Luca 18 del mese di ottobre e finisce il giorno di S. Nicola 6 dicembre, quale affitto si divide tra esso Signor Commendatore e detto Collegio avendone due parti il detto Collegio di Scozia ed una esso signor Commendatore al quale sig. Commendatore è lecito a tagliare legni verdi di cerro seu quercia per servizio del fuoco del castello.

Detto introito spettante al detto Collegio di Scozia dal medesimo fu censuito in enphiteusi al Magnifico Tenente Giuseppe Romeo e per annui ducati 60.

Dichiarandosi che parte di detto Bosco rimase a detta Abazia di S. Elia e per essa alli suoi Patri Abbati, et in esso non si comprende l’affitto sopra menzionato, stante si sente solamente col Bosco che si possiede dal detto Collegio di Scozia mentre di quello non ha partecipazione alcuna dello Monasterio seu Abazia di S.Elia”.

Un’altra prova autentica riscontrasi nel posteriore Cabreo del 1737 compilato da Notar Cavoluio (Cevolino) di Napoli da cui si desume come per pubblica testimonianza la Commenda di Malta ed il Collegio di Scozia compartecipavano alle rendite e godevano di tutti i frutti del bosco o, ragione l’una di due quinte parti e l’altra di 3/5 giusta quanto leggesi in esso e che testualmente si trascrive:

“Il menzionato pascolo del civo che principia a detto 18 ottobre e finisce a detto 6 dicembre, giorno di S. Nicola, si suole affittare candela accesa a benefizio dello ultimo maggiore offerente e la somma che si percepisce si divide fra esso odierno signor Commendatore e suoi successori in perpetuum e fra il Collegio di Scozia.

E detta divisione si fa in questo modo cioè tre parti ne percepisce il detto collegio e per esso i suoi affittuari e due parti ne percepisce l’odierno et protempore signor Commendatore siccome l’accenna il Cabreo dell’anno 1657 e da detto tempo in poi sino ala presente giornata di tal forma e maniera, siccome dichiararono il Magnifico procuratore e Deputato nomine omnium detta Università di esserci così sempre pratticato e pratticarsi e anche si è ciò avverato per informe pubblico e stragiudiziale da noi preso ecc.

(Catasto 1742 fol.222 N.1 e 122 bis n. 1,2 e 7)”.

Inoltre si rileva dallo stesso Cabreo che la camera Commendale possedeva diverse altre contrade e nel medesimo territorio di sua esclusiva pertinenza giusta il brano che si trascrive:

“Tiene di vantaggio la Commenda Camera sul territorio di detta Commenda come vera Signora e Padrona nelle contrade Monastella seu Ziia, Caravi = Scriselli S.Pietro il Campo = Cruci Taverno, il Serro Grande, Cancelluzzo lo Monte ed in altri luoghi e contrade che per brevità si tralasciano in grandissima copia ed in un numero infinito moltissimi terreni scapoli e vacui così nelle circonferenze e giurisdizione del Bosco sotto e sopra via come fuori di quello ed in altre parti e finalmente l’intiero innumerabile Piano della Corona giusto a termini divisori.

Quali terreni scapoli siccome l’accenna l’antecedente Cabreo si ceusuiscono dal Signor Commendatore, ben vero è lecito a ciascun cittadino et abitante ut supra per ivi seminare ecc..ecc..”

Segue il Cabreo a descrivere i diritti che su detti beni la Commenda di malta e il comune di Melicuccà e suoi abitanti rappresentavano ed esercitavano.

Il Collegio di Scozia avea intanto conceduto in fitto ad tertiam generationem al Tenente Giuseppe Romeo fin dal 1653 l’esercizio di ogni suo diritto sul vasto tenimento Bosco di Melicuccà e Piano della Corona che prendeva anco il nome di Bosco di S. Elia del Collegio di Scozia, di Guiiglione e di Nocelleto e tale affitto tenuto a rispettato per oltre un secolo e che per leggi del tempo era pure equiparato alla enfiteusi aera e perpetua con istrumento del 27 febbraio 1758 di ratifica ad altro del 30 dicembre 1757.

Con questi due istrumenti il collegio Scozzese concedette ai fratelli D. Felice Maria e D. Giuseppe Romeo in futurum e ai loro eredi discendenti e successori in perpetuum ed infinitum per l’annuo canone di ducati 60 tutti li beni stabili, censi, entrate, ragioni, azioni, giurisdizione, prerogative e tutt’altro che esso collegio di Scozia avea, teneva e possedeva, anco di esigere la pena del territorio e del Bosco del Priorato di Melicuccà contro tutti coloro che raccoglievano frutta ghianda castagne o di altra sorta e tagliavano legna col diritto ancora di revindicare le terre usurpate, conferendo così ai signori Romeo ina specie di universum jus”/

Nel 1764 con istrumento del 17 novembre i nominati enfiteuti perpetui Signori Romeo cedendo alle premure della Sacra Religione Gerosalemitana vendevano alla medesima rappresentata del Bali Fra Don Francesco Parisio, commendatore della Commenda di Melicuccà del Priorato di Calabria ogni loro diritto sul bosco cioè su due terze parti possedendosi l’altra dalla stessa Commenda di Malta, per ducati 4920 e tutti i censi e i fondi Sant’Oreste e lamberti e Croce nelle pertinenze dello stesso Bosco, per ducati 2000 e con tutti gli altri obblighi che nel detto istrumento si leggono.

Tale cessione e vendita fu sottoposta dai fratelli Romeo a condizione sospensiva senza determinazione di tempo, essendosi contrattato che essa sarebbe stata efficace quando, a cura e spese della Sacra Religione si fosse ottenuto il beneplacito e la ratifica del Gran Maestro dell’ordine di malta, l’assenso pontificio e quello del Direttario Collegio Scozzese di Roma, quali ottenuti avrebbe presa vigore la convenzione e si sarebbe pagato il prezzo della vendita e che pendente la impartizione di detti assensi, dovesse la Sacra Religione a cominciare dall’ottobre 1765 corrispondere l’annuo canone di ducati 60 dovuto al Collegio di Scozia e non potesse far taglio di alberi di qualunque specie nel bosco.

Immessasi la Commenda nel possesso dei beni e dei censi, non rispettò i patti, non curò di ottenere gli assensi superiori, non pagò il prezzo dei cespiti acquistati e imprese il taglio delle piante nel bosco per farne di legname il famoso Arsenale di Malta.

La Regia Camera di Santa Chiara cui furono portate le querele dei Romeo e dei cittadini con provvisione del 15 giugno 1766 disse arbitrario e prepotente l’oprato della Commenda e in disprezzo della legge e dei patti stipulati e questi confermando inibì in modo assoluto ogni ulteriore taglio di alberi e qualunque altra innovazione nel Bosco, fin quando non si fossero domandati e ottenuti il consenso del Collegio di Scozia e gli Assensi Apostolico e Regio senza i quali doveasi considerare l’istrumento del 1764 come nullo e non avvenuto.

Ma la forza dei tempi vinse l’autorità del giudicato che restò ineseguito e senza effetti; e la religione di Malta in onta al medesimo, alle leggi, ai contratti, alla giustizia, alla morale, continuò a tenere il possesso di tutto ciò che ai signori Romeo era stato conceduto con gli istrumenti 30 dicembre 1757 e 27 febbraio 1758 e godere delle terze parti del bosco, a tagliare arbitrariamente alberi a suo esclusivo utile e vantaggi, a governare gli altri fondi ceduti, ad esigere i censi, le pene, le prescrizioni reali e personali disponendo liberamente da signora e padrona assoluta, onde riunendo alla terza parte che essa avea in promiscuo sul bosco ed alle tre suaccennate contrade della Camera Commendale nelle pertinenze del Bosco le due terze parti con tutti gli annessi e connessi diritti ragioni azioni, giurisdizioni, privilegi di cui era investito il Collegio di Scozia e che gli enfiteuti perpetui signori Romeo rappresentavano ed esercitavano, divenne l’unica e potente feudataria delle terre di Melicuccà.

 

 

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SECONDO PERIODO STORICO (1797-1808)

 

Promiscuità = diritti del Comune e dei suoi cittadini ed abitanti.

 

 

Convenzione 12 agosto 1767=

 

 

 

Sarebbe inutile aggiungere altre illustrazioni sull’origine e provenienza del vastissimo fondo Bosco e Piano della Corona divenuto storico per varie vicende e anche famoso per secolari contese negli annali del foro, poichè crediamo di aver detto quanto può essere necessario per la giusta soluzione delle quistioni compromesse cui ende il nostro studio e lavoro.

È parimente inutile e ozioso ogni discussione su la natura demaniale di quei beni e constatiamo soltanto che in tutti i sudetti passaggi o che li abbiano goduto il Monastero di Santa Elia dell’Ordine Basiliano e i PP. Benedettini e templari con giurisdizione spirituale e temporale o che li abbiano posseduti gli Abati Commendatori pro tempore insieme alla Mensa conventuale di detto Monastero e successivamente il Collegio di Scozia e la Commenda di Melicuccà furono sempre rispettati e riserbati il jus lignandi legna incidendi acquandi, di semina, di pascolo e tutti gli altri usi civici essenziali a favore del Comune e dei suoi abitanti come si solevano esercitare e come trovansi descritti negli antichi Cabrei del 1689 e 1737 e particolarmente nell’istrumento del 12 agosto 1767.

I cittadini godevano da tempo immemorabile del diritto;

1= di cogliere le castagne in ogni tempo e le ghiande fino al giorno 6 dicembre di ciascun anno.

2= di scotolare cioè scuotere gli alberi di castagno per far cadere il frutto e renderlo proprio e anche di abbacchiarli con la sola accetta purchè fosse intervenuta l’autorizzazione dell’Università e per essa dei suoi reverendissimi Sindaci.

3= Di pascolare in ogni tempo gli animali domiti e anco gli animali selvaggi dal 6 dicembre sino al giorno di S.Elia 11 settembre dell’anno susseguente.

4= Di legnare a secco e godere tanto dei rami quanto degli alberi intieri caduti.

5= Di coltivare i terreni scapoli cioè liberi che più fossero piaciuti e seminarli a grano, segala, avena e anco canapa, legumi ed altre granaglie, con l’obbligo di coltivare la coverta secondo la locale consuetudine cioè un tanto sul prodotto dell’affittatore delle Baglive.

La Sacra Religione di Malta e per essa la Commenda di Melicuccà aveva poi il diritto:

a) di esigere carlini 15 (L. 6,37) da tutti quei cittadini che si permettevano di abbacchiare gli alberi di castagno e di quercia per far cadere i frutti pendenti o di tagliare legno verde su le dette piante.

b) Di esigere i censi da quelli che nella continenza del Demanio si aveano costituito dei possedimenti in relazione alla platea della Commenda.

c) Di concedere e censire terreni liberi non prima censiti e di esigere su le altre terre libere destinate alla semina uno staglio fisso, ossia una prestazione in natura.

d) di esigere le pane di ducati Sei (L. 25,50) da ogni forestiere e per ogni volta che senza precednte fida avesse legnato a secco o fatto pascolare i propri animali nel demanio del Bosco e Piani della Corona.

e) Di esigere pure l’accordio o sopra fida di carlini cinque (2,10) per ogni bove, di carlini 3 (L.1,27) per ogni animale equini, di carlini 2 (L.0,85) per ogni bagaglio dei forestieri che usavano fidare col fittuario del Commendatore e in tal caso il godimento del pascolo dava dal giorno di S.Elia 11 settembre a quello di San Nicola, 6 dicembre di ciascun anno.

f) Di potere affittare insieme con la Badia di S.Elia e per questa con il Collegio di Scozia il pascolo del vasto demanio per un tempo determinato cioè dal 18 ottobre al 6 dicembre di ciascun anno senza pregiudizio dei diritti sopra descritti dell’Università di Melicuccà e dei suoi cittadini e abitanti come pure di far tagliare legna di quercia per uso del fuoco del Castello e di riparazione al medesimo e ai trappeti e molini della Commenda con l’abbligo di tenere a sue spese otto guardie delle boscolani per iul servizio di custodia e di sorveglianza.

Erano questo gli usi, i diritti, gli abblighi scambievoli che regolavano il godimento promiscuo e l’Amministrazione di quel vasto tenimento ma l’ordine Gerosalemitano che oltre il titolo e il nome avitico rappresentava poteri e interesi positivi e reali e teneva e governava in Malta uno stabilimento di costruzioni navali, e che fas et nefas si aveva appropriato tutto ciò che spettava al Collegio di Scozia sul Bosco di Melicuccà e intendea acquistare il pieno ed assoluto dominio di quei beni tentò ancora una nuova spogliazione in danno del Comune e dei suoi abitanti proibendo gli usi civici ed eseguendo dei tagli di alberi quasi jure proprio.

Il Comune però oppose valida resistenza; onde la Commenda di malta ferma nella determinazione di far tagliare in ogni modo le piante di quercia esistenti nel bosco per uso e comodo dei suoi arsenali, e di fare una piantaggione di alberi della stessa natura nello altro dominio Piani della Corona per potersene ugualmente servire a suo tempo e per lo stesso fine fece analoga domanda al Re, il quale deferì lo affare alla Regia Camera della Sommaria.

La Università di Melicuccà ritenendo che le petizioni e le pretese del Commendatore sui demani Bosco e Piani della Corona potessero pregiudicare er limitare i suoi diritti e quelli dei suoi cittadini ed abitanti continuò ad opporsi, ma poi non volendo le parti fra loro contendere concordarono e acconsentirono di sottoporre la quistione all’esame di comuni soci e così esaminate e discusse le scambievoli ragioni surse l’istrumento che regelò la comunione dei sudetti beni del 12 agosto 1767 stipulato in Napoli per Notar Calo Feraci fra lo eccellentissimo cav: Innocenzio Pignatelli Ministro presso il Re, della Sacra Religione Gerosalemitana e l’eccellentissimo Balio D. Francesco Parisio Gran Croce del detto Ordine e Commendatore di Melicuccà presso il Gran Priorato di Capua e l’Università di Melicuccà rappresentata dal signor Vincenzo Perrelli quale suo procuratore speciale di seguito a pubblico parlamento per 21 giugno sudetto anno. Con questo istrumento si convenne:

I) che fosse lecito alla Sacra Religione di Malta far piantagione di alberi di quercia pel demanio Piani della Corona intorno all’altro detto Bosco per un miglio di circuito con l’espressa riserva in favore di quei naturali di tutti gli usi e diritti fino allora esercitati compreso quello di pascolare i propri animali di ogni specie e in tutti i tempi senza verun divieto e soggezione di pena e di querela meno gli animali detto a corno per lo spazio di anni 25 nello interesse dell’economia della selva che si doveva impiantare e per meglio favorire la riproduzione delle piante.

II) Che fosse lecito ancora di potere in futurum et in perpetuum tagliare gli alberi di quercia esistenti e atti al taglio e tutti che fossero rimasti e cresciuti a comodo od arbitrio della Commenda senza poter l’Università e i suoi cittadini inferire alcuna molestia o alcuno impedimento.

III) Che, meno questi due privilegi restar dovessero salvi ed integri sui demani Bosco e Piani della Corona alla Università e ai cittadini tutti i diritti e usi descritti nei Cabrei fino allora goduti ed esercitati non esclusa la prerogativa di poter legnare a legno secco e verde e di servirsi pure degli avanzi inutili ed inservibili alle opere di costruzione degli Arsenali della Sacra Religione in Malta e segnatamente di potere riguardo ai Piani della Corona pascolare in tutti i tempi dell’anno con animali di ogni specie e di liberamente seminare e coltivare, a proprio utile, tutto quel vasto territorio, con franchigia della pena e delle querele giusta le antiche consuetudini.

IV) Che fosse lecito alla Commenda ed alla Università di Melicuccà di tagliare e vendere gli alberi di castagno nella parte più folta del tenimento Bosco, di comune accordo e piacimento e sotto l’osservanza delle condizioni fra esse stabilite cioè:

a) di essere riconosciute e distinte con bollo le piante da taglio tanto dal Commendatore Pro tempore o da chi per esso quanto da speciali deputati dell’Università, da erigersi in pubblico Parlamento.

b) di vendersi al maggior offerente, su la base dei prezzi correnti nella vicina montagna del Principe di Scilla, ad utile comune compartecipandovi in ragione di metà e di potere la Università e la Commenda esigere direttamente la propria quota dello aggiudicatorio.

c) di destinarsi e impiegarsi l’utile ricavato dall’Università al pagamento dei debiti da essa dovuti alla Sacra Religione di Malta e per essa al balio Commedatore D.Francesco Parisio e di dovere questi corrispondere i tributi fiscali alla Regia Tesoreria, provvedere in perpetuum ed a suo carico alle spese di custodia del Bosco e ripartire gli alberi in tagli annuali senza poter estirpare le ceppaie, nè mutare l’ordine e la natura delle colture nè consuire alcuna parte del bosco restando fermi tutti gli altri abblighi consacrati dai Cabrei.

V.) Che ottenuto il Regio Assenso con che intendeasi perfezionata la convenzione dovesse la Sacra Religione di Malta sgravare l’Università dei debiti contratti con il venerando Balio seu Commendatore Parisio di ducati duemila quattrocento cinquantatre e grana diciannove e 2/3 pari a lire 10426,0857 e di altri ducati cinquemila quattrocento cinquantanove e grana settantatre e 1/3 pari a L. 23203,8666 in tutto L. 33629,9532; con facoltà però di rimborsare su la metà del prezzo dei tagli castagnali spettanti al Comune.

VI. Che la medesima Sacra Religione di Malta conseguito l’assenso Regio dovesse ancora anticipare all’Università di Melicuccà o a chi per essa le somme necessarie per tutte le operazioni della Chiesa Matrice fino alla concorrenza di di ducati Duemila, e similmente altri ducati quattromila pari a L. 17000 per la ricompra della Buonatenenza di S.Eufemia e di Sinopoli assegnata dall’Università alla Casa del Duca di Bagnara e Monte di Ruffi col patto che il corpo di tutti i predetti beni, a maggior sicurezza restar dovesse ipotecata alla sacra Religione di Malta e con l’espressa condizione del rimborso del prezzo del legname di castagno da poterlo anco esigere direttamente dai compratori in nome, per conto e da parte delle Università fino all’estinzione dell’intero debito.

VII. Che per effetto ed in compenso della concessione fatta dall’Università di Melicuccà alla Sacra religione di Malta l’Eccellentissimo cav: Innocenzo Pignatelli fosse obbligato nel nome di detta Sacra Religione di corrispondere a pagare annualmente in futurum et in perpetuum et mundu durante la somma di ducati 250 alla predetta Università, da prelevarli però sui frutti e prodotti della stessa Commenda.

Quale pagamento impegnavasi di farlo in due rate, l’una di ducati 59 nel mese di Gennaio per i pesi fiscali di detta Università e l’altra di ducati 191 nel dicembre di ciascun anno a contare dall’anno 1765 e così successivamente per l’avvenire non ostante qualsiasi eccezione causa o ragione in contrario e anche quando la Sacra Religione di Malta non avesse tagliato alberi di quercia e non ne avesse di bisogno e vi fossero o non esistenti alla continenza del Bosco.

Ben vero si stabilì che alla Sacra Religione di Malta fosse lecito di affrancare l’annuo canone di ducati duecento cinquanta a suo libero piacimento ed arbitrio mediante l’acquisto di un predio di rendita equivalente, in territorio di Melicuccà o in luoghi circonvicini con l’acconsentimento del Comune e con atto pubblico solenne e che con ciò la detta Sacra Religione e Commenda non dovesse ad altro essere tenuta per qualsiasi motivo e in qualunque tempo.

 

VIII. Si obbligava inoltre la stessa Sacra Religione di Malta di corrispondere e somministrare alla Università su le rendite della Commenda la somma di altri ducati 20 per medicinali a cittadini poveri nella fine del mese di luglio di ciascun anno mundu durante e senza preavviso o liquida prevenzione cui formalmente ed espressamente rinunziava.

Infine si convenne che mancando la Sacra Religione ai pagamenti sopra cennati l’Università e il reverendo Balio Parisio potessero produrre e far valere le rispettive ragioni presso ogni Corte = Tribunale = Luogo o Foro servata forma juris, ed ottenere la pronta, parata ed esplicita esecuzione dell’atto dell’avvenuta transazione senza dilazione di parte et etram juris forma non servata come si usava per le pigioni delle case e per le obbligazioni liquidate dalla Gran Corte della Vicaria e dalla Nunziatura Apostolica di pace.

E purchè la convenzione in tutti itempi restasse ferma, integra e valida ed efficace si è dichiarato che tutto s’intendea in essa compreso, ragioni, azioni pretenzioni tanto del Comune che dell’ordine Gerosalemitano di Malta con esclusi i diritti che il Collegio di Scozia e suoi censuari vi rappresentavano sul Bosco e che nessuno per qualsiasi causa, avvenimento o titolo potea più nulla pretendere per l’avvenire tranne quanto si era spiegato e concordemente pattuito con il succennato strumento di transazione del 12 agosto 1767 il quale poi venne anco confermato e ratificato con atto del 22 stesso mese ed anno per notar Calogero Antonio da Melicuccà.

Definiti in tal modo gli scambievoli diritti dell’Università e della Sacra Religione di Malta questa tenne senza controllo l’Amministrazione del descritto tenimento del Bosco e Piani della Corona ma non mantenne gli impegni avendo solo corrisposto al Comune sino al 1808 i ducati 230, di cui, fra l’altro, formò oggetto la precedente convenzione.

L’ex Commenda inoltre abusò della facoltà ad essa concedute, e invece di tagliare le querce da costruzione e i castagni d’accordo col comune ciò fece indistintamente a suo capriccio e talento devastando l’intero bosco tanto che nel 1775 l’Università produsse reclamo contro il Commendatore Bali Parisio presso la Regia Camera della Sommaria la quale per potere emettere le provvidenze in merito affidò l’incarico all’Avvocato fiscale di dare il suo pare ma quelle procedure restarono senza effetto gioaccè prevalsero la potenza del Commendatore e la forza dei tempi anzicchè il diritto e l’autorità dei giudicati.

Continuarono quindi gli abusi e nel 1802 altri tagli di querce e di castagni furono eseguiti e altre devastazioni si operarono dal Commendatore Perrelli distruggendo quasi quella vasta continenza di selve e di boschi di cui sa fa cenno nei Cabrei del 1689 = 1737 e nel predetto istrumento dei 12 agosto 1867 e passarono così altri molti anni senza mai arrestarsi la Commenda sulla via degli arbitri che impunemente esercitò a danno del Comune e del popolo su quei vasti Demani.

 

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TERZO PERIODO

(1808 = 1860)

 

 

Soppressione della Commenda, Succede il R.Demanio=LITI

 

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Nella lotta generosa dei sacrifici di tutte le Province Napoletane che a sollievo e conforto delle desolate Calabrie dell’immane disastro dei terremoti del 1783 offrirono il largo tributo di un milione e duecentomila ducati, concorse anco validamente il Governo all’opera benefica e con il provvido sapiente dispaccio del 1784 che fu la legge primordiale contro le manomorte e i possessi di natura e dipendenza ecclesiastica Ferdinando IV di Borbone decretò la soppressione di tutti i luoghi Pii ed Ordini religiosi destinando le rendite a beneficio delle popolazioni sovverse da quella calamità e delle città e dei villagi coperti di rovine.

Furono quindi incamerati allo Stato e per esso alla Cassa Sacra che li amministrò tutti i beni dei conventi e dei monasteri, le proprietà delle Congreghe laicali, le rendite delle Badie dei benefizi residenziali di jus patronato laicali delle Cappellanie laicali e gentilizie vacanti avocabili e dei vescovati vacanti nonchè lo spoglio dei vescovi defunti prima appartenente allo Stato il terzo delle rendite dei vescovati non vacanti e non aventi più della congrua conciliare e il quarto e il quinto delle rendite delle Grazie e Commende; ma da questo onere vennero francate per favore Regio, le Commende dell’ordine di Malta con dispaccio del 19 febbraio 1875 (Nota di chi trascrive: leggasi 1785. E’ certamente un errore di proto).

Esclusa così o tollerata la Commenda di Melicuccà venne poi soppressa nel novembre 1806 e le successe il Regio Demanio, al quale passarono in tutta la loro estensione il Bosco e il Piano della Corona con tutti i censi come rilavasi dagli atti dei giudizii controvertiti ed esauriti e anco in parte dai certificati storico catastali.

Promulgavasi intanto la legge del 12 agosto 1806 che aboliva la feudalità con tutti i suoi privilegi ed attribuzioni, reintegrando alla sovranità le giurisdizioni fino allora baronali e i proventi annessi. Seguivano le altre leggi e i Reali decreti su la ripartizione dei Demani ed il Commissario del Re Angelo Masci in esecuzione delle sentenze della Suprema Commissione feudale con ordinanza del 16 febbraio 1811 dichiarava sciolata ogni promiscuità esistente sul bosco di Melicuccà attribuendo tre quarti parti al Comune e l’altra al regio Demanio disponendo che i censuari non fossero molestati ma continuassero a pagare i canoni da essi rispettivamente dovuti all’Università o al regio Demanio secondo che su la parte dell’uno o dell’altro si trovassero infissi i redditi a norma del Regio Decreto 8 giugno 1807 e con salvezza di tutti i diritti al Comune da sperimentarli innazi ai Tribunali competenti per la reintegra della quota che si era assegnata al Real Demanio.

A questa ordinanza non fu data esecuzione ed il Regio Demanio abusando più che la soppressa Commenda non aveva fatto, si rifiutò di corrispondere gli annui ducati 270 al Comune di Melicuccà il quale il 23 agosto 1812 promosse giudizio per conseguirli insieme agli arretrati e successivi dovuti in virtù dell’istrumento 22 agosto 1767.

Il Pubblico Demanio resistè e impugnò di nullità il detti istrumento chiedendo contro il Comune il pagamento di ducati 9479,33 e di altri ducati 8662,31 insieme ai correlativi interessi. Con decisione 8 marzo 1814 il Consiglio d’Intendenza di Reggio Calabria disponeva che il Comune non fosse molestato pei pretesi debiti e dichiarata estinta l’azione del Demanio lo condannava al pagamento degli annui ducati 270, degli arretrati e dei corrispondenti interessi.

Portato reclamo dal R. Demanio presso l’abolita Gran Corte dei Conti questo Collegio con avviso del 20 agosto 1823, annullava la predetta decisione dichiarando nullo l’istrumento del 1767 e incompetente il potere contenzioso amministrativo a conoscere della domanda del Comune riguardo al pagamento dei ducati 270 rinviando le parti per l’esperimento delle loro ragioni avanti all’intendente della Provincia qual Regio Commissario ripartitore Demaniale.

Quest’avviso venne approvato con Rescritto del 18 agosto 1824 e nello stesso tempo il Sovrano ordinò che alla vertenza fosse dato termine per arbitramento.

Nel 10 marzo 1826 comunicavasi agli arbitri eletti la loro nomina.

Il Regio Demanio pretese novellamente al pagamento dei voluti crediti l’uno di ducati 9479,33 e l’altro di ducati 8862,31 con i relativi interessi e la restituzione come indebito di ducati 11070 pagati per la prestazione degli annui ducati 270 dal 1767 al 1808.

Il Comune alla sua volta domandò che rimanesse abolito il diritto ai tagli del bosco e che il Demanio fosse obbligato a rivalerlo del prezzo di tutti i tagli precedentemente eseguiti dal 1767 in poi insistendo per l’esecuzione dell’ordinanza Masci del 16 febbraio 1811 e per dividersi il Bosco con il suo miglio di circuito compreso il Piano della Corona salva l’azione per la rivendicazione della quota del Demanio a tenore di detta ordinanza.

Gli arbitri intese le parti ed esaminate le loro scambievoli istanze ragioni ed eccezioni con Lodo del 16 gennaio 1834 dichiaravano:

a) Che nei termini dell’arbitramento non era stata compresa la domanda per il conseguimento dei D.8862,31 e ralativi interessi.

b) che per l’altra domanda di D. 9479,33 e corrispondenti interessi, il Demanio dello Stato dovesse far constare nei modi di legge il versamento di tal somma a profitto del Comune.

c) Che per i D. 7479 che si dissero versati in estinzione dei debiti del Comune dovesse il Demanio esibire i documenti giustificativi e particolarmente quelli che si portavano inseriti nello istrumento del 1767 e non figuravano nella copia estratta.

In quanto poi alla domanda del Comune per la divisione del Bosco e Piano della Corona gli arbitri  si riserbano di provvedere dopo che fossero loro esibiti insieme all’ordinanza Masci tutti gli altri atti e titoli relativi alla esecuzione  della medesima e alla intimazione ai sensi del real Decreto 20 gennaio 1814.

Con Regio Rescritto del 23 luglio 1873 i poteri degli arbitri vennero estesi anche sui Ducati 8862,34 e riprodotta la causa e il pubblico Demanio ripeteva la sua domanda per i pretesi crediti meno i dicati 11070 e in giustificazione del vantato credito di Ducati 8662,31 produsse un certificato di due decreti interlocutori della Regia Camera della Sommaria l’uno del 15 Novembre 1802 e l’altro del 22 marzo 1803 i quali si rimettevano a talune antiche provvisioni che mai erano state presentate.

E per comprovare l’altro voluto credito di ducati 9479,33 esibiva copia del ripetuto istrumento del 767 con inserti che mancavano nella prima copia prodotta.

Il Comune da sua parte continuò ad insistere su le sue precedenti istanze e ragioni producendo l’incartamento relativo all’ordinanza Masci e alla sospesa esecuzione della stessa, e poichè i documenti prodotti dal Regio Demanio furono ritenuti a giustificare i suoi crediti  e l’utile versione delle somme date in prestito e per il credito di Ducati 270 vantato dal Comune mancava la sua domanda originaria inoltrata il 13 agosto 1812 gli arbitri eletti pronunciando interlocutoriamente con Loto del 10 maggio 1853 accordavano il termine di un anno al Regio Demanio per esibire le provvisioni della Regia Camera della Sommaria e i documenti relativi alla preesistenza delle obbligazioni dell’Università di Melicuccà e all’effettiva estinzione delle medesime col denaro preso a mutuo dal Commendatore dell’ordine di Malta Bali Parisio ed ugual termine accordavano anco al Comune per esibire la predetta originale domanda del 13 agosto 1812 e i documenti comprovanti il taglio fatto dal demanio nel Bosco e nei Piani della Corona.

In dipendenza del termine come sopra assegnato, cessavano le attribuzioni degli arbitri cui però furono prorogati i poteri a premura delle parti con il Rescritto del 26 luglio 1854.

Confermata quindi la giurisdizione di arbitri nelle persone del Consultorio di Stato cav: Tito Berni e del Consigliere Miche Roberto, questi esaminate le istanze del Demanio reiterate e le domande del Comune con tutti i novelli documenti riprodotti spiegano le provvidenze riservate con la precedente loro sentenza del 10 maggio 1853 e definitivamente pronunziando con il loro Lodo del 14 dicembre 1854 dichiararono:

1) Essere la domanda del Comune per gli annui ducati 270 dal 1808 fino a tutto il 1819 indipendente dalla questione Demaniale di proprietà e per l’effetto accogliendola essere tenuto il Demanio dello Stato a pagarne l’importo in benefizio del Comune.

2) Essere dovuto dal Comune al demanio i ducati 8662,31 senza obbligo di corrispondere alcuno interesse.

3) Assolversi il Comune dal pagamento dei ducati 9912,53 ammontare delle diverse somme indicate nello istrumento del 1767 salvo al demanio il diritto ad esperimentare se e come per legge i legittimi gravami quante volte riuscisse a rinvenire i documenti che non ha potuto esibire.

4) Non comprendersi nei termini dell’arbitrato sovranamente disposto, la questione relativa alla divisione dei due Demani Bosco e Piani della Corona rinviando le parti a sperimentare le loro ragioni innanzi a chi e come di dritto.

5) Compensarsi il credito liquido del Comune degli annui ducati 270 fino alla concorrenza con l’equivalente parte del credito di Ducati 8662,31 dichiarato in favore del Demanio e pel residuale credito soprassedeva da ogni eseczione sino a che il dritto ad ogni altro legittimo credito del Comune per le qistioni rinviate non si sarà liquidato per procedersi a compensazione se vi sarà luogo.

Durante il periodo di questo lungo e rovinoso contendere il Regio Demanio non cessò di abusare enormemente nell’amministrazione del Bosco e Piano della Corona e tutti esercitando i diritti e i poteri ad esso conferiti con la convenzione del 22 agosto 1767 dimenticava gli obblighi e i doveri che la Commenda di Malta, sua dante causa, si aveva assunto ed imposto sicchè disponendo come sua libera ed assoluta proprietà, ben presto quelle ricche selve e foreste furono quasi tutte devastate e distrutte.

Era tenuto alla custodia di esse e non si mantenne i boscolani nel numero designato e pattuito; fittava i pascoli ai forestieri, riscuoteva le prestazioni in natura su le terre coltivate, tagliava innumeri alberi di quercia e si ostinava poi a negare il compenso delle fatte concessioni e a corrispondere al comune annualmente i pattuiti ducati 270: vendeva il legname di castagno e il frascame dalle querce senza prendere accordi col Comune e a favore di questo non lasciava la metà del prezzo ricavato violando i contratti.

Con il Regio Demanio e con danno gravissimo dell’Università volgeva a suo esclusivo vantaggio e profitto la convenzione del 22 agosto 1767 che impugnava poi di nullità per difetto di Regio assenso quando si trattava di adempiere ai suoi obblighi verso il Comune. Nè questo ha potuto opporre alcuna resistenza agli abusi che si consumavano con prepotenze e prerogative quasi baronali, nè arrestare il loro corso rovinoso essendo riuscito inefficace anche ogni mezzo giudiziario sperimentato: e i suoi giusti reclami furono vani e per essi non altro ottenne che la constatazione legale della devastazione cui andarono soggetti il Bosco e il Piano della Corona e dello spogliamento arbitrario perpetrato.

La prova certa ed evidente è rimasta in documenti certi e non sospetti.

Nel 1832 il Real Demanio ha fatto una vendita di legname di castagno per Ducati 900 che si asserisce essere stati depositati presso la Real Cassa (Lettera del S.Intendente del 2 maggio dello stesso anno = 4° Ufficio n. 1430).

Nel 1842 furono conceduti altri 40 alberi ai Reverendi Padri Cappuccini di Seminara: nel 1846 si avverava un vasto incendio nel Bosco; nel 1847 si concedevano agli stessi Padri Cappuccini altre 30 piante di castagno e la rimondatura delle selve; nel 1848 si vendevano altri venti alberi di castagno a D. Vito Antonio Trapasso, e invece si tagliavano 80; nel 1850 altri 40 a D’Amico Antonio da Scilla e altri 4 al Comune di Sant’Eufemia; nel 1851 altri 100 ai suddetti Padri Cappuccini di Seminara i quali operarono un vasto e formale taglio di legname, abusando della Sovrana largizione.

In tale deplorevole modo come se nessuna intemperanza lo costituisse responsabile del Real Demanio tenne e amministrò la proprietà del Comune distruggendola in parte a proprio utile uso e consumo e in parte distraendola con vendite illegalmente fatte con improvvide e illegittime concessioni e con la malissima o nessuna custodia del Bosco e del Piano della Corona (Lettera del 4 maggio detto anno N. 500).

Questo cumulo di abusi, tutto questo monopolio e disordinato governo della proprietà provvisoria incoraggiava intanto i naturali di Melicuccà, di S. Eufemia, di Bagnara e di altri luoghi a speculare sul dissipato patrimonio comunale e perpetrare innumerevoli usurpazioni su tutta la continenza di quei vasti demani i quali non furono trovati quasi per intero occupati o coperti di colonie mancanti di titolo e di ogni altro carattere per potere essere ritenute perpetue e inamovibili come i possessori vantavano.

Volendo quindi paragonare con l’atuale l’antico stato di consistenza del Bosco di Melicuccà e del piano della Corona, come trovasi descritto nei Cabrei del 1689 e 1737, nell’istrumento del 1767 e anco negli atti demaniali del 1811 e 1870 si rileverebbe subito una differenza notevolissima.

Opportuno adunque e sapiente e conforme ai principi della giustizia e della patria giurisprudenza fu il Lodo degli arbitri pronunciato il 14 dicembre 1854 con cui fra l’altro fatte salve le rispettive ragioni sono state rinviate le parti ad esperimentarle innazi ai magistrati competenti.

Ma da questa sentenza e dal trionfo dei suoi diritti l’Università non trase verun profitto poichè stanca per lungo contendere, ammiserita, spogliata dei suoi beni senza fiducia nelle istituzioni, oppressa dalle prepotenze del Regio Demanio, paurosa delle dure vicende di quei tempi non potè persistere nell’aspra lotta per far valere i suoi diritti e rivendicare al popolo ciò che al popolo spettava.

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QUARTO PERIODO (1860-1880)

 

Scioglimento di promisquità e divisione

 

 

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Si preparavano intanto nell’ordine politico, tempi più miti e con il 1860 sorgeva un’era nuova promettitrice di maggiore libertà e giustizia.

Restaurato con il Decreto Luogotenenziale del 1° gennaio 1861 l’Istituto dei Regi Commissari Demaniali fu destinato per la Provincia di Reggio Calabria l’integerrimi e dotto magistrato Luigi Grisolia e il Comune di Melicuccà con libello introduttivo del 20 novembre e nella comparsa conclusionale avanti il detto Commissario Ripartitore chiedeva:

I) Che fosse riconosciuto e dichiarato di esclusiva proprietà del Comune di Melicuccà e reintegrato l’intiero tenimento sito in quel territorio del Bosco e Piani della Corona e sotto qualunque altra denominazione di contrada compresa nella limitazione riportata nei Cabrei dell’ex Commenda e nell’istrumento del 1767 essendo il Regio Demanio semplice custode ed amministratore e condannato questo al rilascio di ciò che illegalmente possiede con l’obbligo di rimborsare il Comune del prezzo di tutti i tagli eseguiti e frutti percetti e di rivalerlo di tutti i danni, ascendenti a circa ducati 50000 (pari a L.212500) occasionate per mancanza di custodia, come ancora per avenute usurpazioni, e per concessioni illegalmente fatte sia di alberi che di altro.

II) Che si ordinasse  l’esecuzione dell’ordinanza del Commissario del Re Angelo Masci del 16 febbraio 1811 passata in cosa giudicata e non attuata stante le opposizini e prepotenze del Demanio sotto il caduto Governo, immettendo il Comune nel possesso della quota assegnata e reintegrandolo in quelle del quarto attribuito al demanio senza poter questo più ingerirsi dell’Amministrazione del Bosco e Piani della Corona con la condanna in favore del Comune al pagamento dell’annua prestazioni di Ducati 270 a datare dal 1808 e dei corrispettivi interessi giusto l’istrumento del 1867 e con la condanna ancora al rendiconto dei frutti percepiti e degli utili mancati nel Bosco e Piani della Corona ed al pagamento delle spese sostenute dal Comune in tutti i giudizi fino allora svolti in diverse sedi comprese quelle per gli arbitramenti.

Il Regio Commissario Grisolia con ordinanza del 17 dicembre 1861 ritenuto che la sentenza Masci doveva applicarsi tanto alla contrada Bosco quanto a quella denominata Piani della Corona giusta la lettera dello stesso Masci del 6 aprile 1811 e l’autorevole avviso del Procuratore Generale presso la Gran Corte dei Conti De Tommasio del 19 ottobre 1819 ha disposto la divisione di detti demani con lo accantonamento di tra quarti parti a favore del Comune assegnando l’altra al Demanio dello Stato; e per tutte le altre quistioni relative ad azioni di eredità e debiti rispettivi e a rendimento di conti, dichiarò che sfuggivano alle sue attribuzioni limitate semplicemente a quelle accordate ai già Intendenti con gli Articoli 176,177 e 186;della legge 12 dicembre 1816.

Contro tale ordinanza il Pubblico demanio portò gravame presso l’abolita Gran Corte dei Conti, Sezione del Contenzioso amministrativo la quale con avviso del 30 giugno 1864 approvato con Real decretop 20 novembre dello stesso anno, accogliendo in parte il reclamo disponeva che il Piano della Corona fosse diviso in due uguali porzioni da assegnarsi l’una al R.Demanio e l’altra al Comune di Melicuccà.

Su la vistosa massa dei sudetti terreni si erano perpetrati da lungo tempo come innazi si è accennato innumerovoli usurpazioni e nel continuato abbandono di cui erano rimasti senza custodia e senza sorveglianza durante il periodo dell’Amministrazione tenuta dal R.Demanio, nuove abusive occupazioni si erano aggiunte alle antiche, e una Commissione comunale di Melicuccà ne redigeva lo stato generale il 14 agosto 1861.

Lo stesso Regio Commissario Grisolia occupandosi personalmente ad accertare le avvenute usurpazioni compiò diversi verbali sotto la data del 30 e 31 ottobre e 1° e 20 novembre 1861, raccogliendo le dichiarazioni dei possessori e il Consiglio Comunale con deliberazione del 10 e 11 novembre 1861, 28 gennaio e 27 febbraio 1862 respinte tutte le offerte del pagamento di canoni domandò la pronta reintegra delle terre occupate sostenendo che non esistevano migliorie e che pur esistendovi erano largamente compensate dai frutti percepiti e dai danni arrecati alla proprietà comunale con la distruzione de le piante che prima la popolavano.

Conferite con Regio Decreto 16 marzo 1862 tutte le attribuzioni demandate con il decreto Luogotenenziale 1. gennio 1861 ai commissari speciali il Consigliere delegato Leone Fontana in luogo del Prefetto in congedo e per gli effetti dei precennati verbali e deliberazioni dispose con ordinanza del 15 dicembre 1862 la reintegra di alcune quote del Bosco di Melicuccà, la messa fuori causa di taluni convenuti, la verifica di altre usurpazioni e l’esperimento di atti istruttori tendenti a dimostrare la longevità del possesso eccepita da taluni altri occupatori.

Questa ordinanza con tutti gli atti che da essa ebbero vita fu poi ritenuta nulla e come non avvenuta sia percè emananata nel tempo che pendea l’appelo presso la sede del contenzioso dell’abolita Gran Corte dei Conti avverso l’ordinanza Grisolia, sia perchè resa da chi non ne aveva facoltà ai sensi del Real Rescritto 8 ottobre 1842 con cui si statuì che in caso di impedimento, l’Intendente (Prefetto) non può più delegare altro funzionario per l’attuazione degli affari demaniali, quale sanzione è stata poi maggiormente chiarita dal già Dicastero degli Interni di Napoli con nota 28 Maggio 1845 la quale dichiara che non per momentanea assenza o impedimento ma per la sola mancanza dell’Intendente (Prefetto) le ordinanze demaniali si potevano pronunciare dal Segretario Generale o da colui al quale fossero state affidate le funzioni dello Intendente.

In esecuzione di tale ordinanza gli Agenti demaniali Coscinà, Accorinti e Romano l’un dopo l’altro eseguivano diverse verifiche rimaste poi senza effetti e così fra i reclami prodotti e ripetuti dall’Amministrazione del Regio Demanio per le asprezze delle contese dibattute tra la medesima ed il Comune fra provvedimenti inutili ed inefficaci contro gli occupatori e fra procedimenti spesso vani ed illegali si giunse al 1870 in cui il Regio Commissario Prefetto Serpieri dedicando a questa quasi secolare controversia l’opera sua vi poneva termine con l’elaborata e sapiente ordinanza del 18 febbraio detto anno, pronunciandosi come appresso:

1) Dichiara la propria competenza nella presente controversia.

2) Senza arrestarsi poi alle eccezioni di inammissibilità dell’istanza del Comune di Melicuccà e di prescrizione, che rigetta, dichiara nulla e come non avvenuta la ordinanza del 15 dicembre 1862 del Consigliere delegato Fontana, e nulli e come non avvenuti tutti gli atti che da essa ebbero vita.

3) Ordina che l’Agente Demaniale Sig. Albanese Giuseppe da Reggio, che rimane all’uopo delegato, assistito dai periti Signori Tommasini Carmelo, Costantino Giuseppe e Calabrò Raffaele i quali ove il Comune ed il Regio Demanio nel termine di tre giorni dal dì della intimazione della presente non si accordino sulla scelta di un solo perito rimangano da ora nominati a dovranno avanti di noi prestare il giuramento di rito ed assistito da tre indicatori, che lo stesso Agente nominerà di ufficio qualora le parti nel detto termine non converranno l’elezione di altri, tenendo presente la platea del 1737, lo istrumento del 1767, il verbale 15 novembre 1810, l’ordinanza 16 febbraio 1811, l’altra del 17 dicembre 1861, e l’avviso che modifica quest’ultima del 30 giugno 1864, reso dalla sezione del Contenzioso Amministrativo dell’abolita Gran Corte dei Conti, proceda alla misurazione ad all’ancatonamento a favore del Comune nel sito più vicino all’abitato di tre quarti parti del Bosco di Melicuccà e della mettà dei terreni costituenti il Piano della Corona e in favore del Regio Demanio all’accantonamento dell’altra metà del Piano della Corona e dell’altra quarta parte del mentovato Bosco nella quale debbono andar comprese le mogia 130 di querceto enunciate nell’ordinanza Masci. Sarà redatto il tutto circostanziato verbale in triplice spedizione con corrispondente pianta indicante i punti precisi di separazione delle quote e da distnguersi con l’apposizione dei termini lapidei in seguito ala debita omologazione.

4) Ordina che lo stesso Agente demaniale, nel verbale medesimo indichi quali dei censuari esistenti su tutta la superficie divisibile debbono corrispondere al Comune e quali al demanio i rispettivi canoni che ciscuno di essi ha l’obbligo di pagare.

5) Compiue le cennate operazioni ordina che lo stesso Agente Demaniale assistito dai sudetti tre periti e da altrettanti indicatori che nominerà d’ufficio qualora le parti non si accorderanno sulla scelta, osservate le norme delle Leggi e dei Regolamenti in vigore, e tenendo presenti i verbali precedenti, i titoli, documenti e rilievi che le parti ritualmente citati potranno esibire, proceda alla verifica delle usurpazioni avvenute nelle parti del Bosco e del Piano della Corona che al Comune saranno accantonate indicando il sito, l’estensione, l’epoca approssimativa delle singole usurpazioni e da chi perpetrate, se sulle terre usurpate si siano fatti miglioramenti quali e da quanto tempo e mette il Comune nel possesso delle quote usurpate che furono o saranno rilasciate dagli usurpatori redigendo di tutto altro verbale in triplice spedizione”.

Avverso tale ordinanza si gravavano il Demanio dello Stato e 22 usurpatori presso la Corte di Appello di Catanzaro, astenendosi altri 251 illegittimi possessori, che nella causa si resero contumaci.

La Corte con sentenza del 23 aprile 1877 modificava in parte il capo 5° della sudetta ordinanza con il quale facultavasi l’Agente demaniale a mettere il Comune nel possesso delle quote che si sarebbero rilasciate dagli usurpatori ordinando invece che si astenesse fino a quando il Prefetto in esito alla verifica affidata al medesimo Agente non avesse disposto la reintegra ed il rilascio a pro del Comune dei terreni usurpati in suo danno; e per tutto il dippiù rigettando gli appelli proposti contro la stessa ordinanza e questa confermando ordinava che si eseguisse con la suespressa modifica ed aggiunzione.

In dipendenza di tale giudizio presso la Corte di Appello l’Agente delegato signor Albanese inviava nel 1872 gli atti di divisione dei demani Bosco e Piani della Corona; i quali si completavano poi nel 1877 con la deliberazione Consigliare del 16 luglio che li approvava e con l’ordinanza del 13 settembre del Regio Commissario Prefetto Salvoni che omologò surrogando all’Agente Albanese l’Avv: Francesco Campisi per immettere il Comune nel legale e materiale possesso delle quote ad esso assegnate su i demani Bosco e Piani della Corona e per l’apposizione dei termini lapidei. E così fu eseguito come dai relativi verbali dei giorni 20 e 31 ottobre a 1° novembre 1877 omologati con l’ordinanza dei 20 maggio 1878.

Giova notare fin da ora che l’Agente Demaniale Albanese limitò le operazioni a lui commesse, esclusivamente alla misurazione e stima dei due demani Bosco e Piani della Corona e alla divisione dei medesimi fra l’Amministrazione del Pubblico Demanio e il Comune nelle proporzioni assegnate senza occuparsi della verifica di cui al capo 5° della cennata ordinanza Serpieri: di modo che per questa parte i suoi atti si trovano perfettamente in relazione e in armonia di quanto poi la Corte di Appello con la sudetta sentenza del 23 aprile 1877 ha ritenuto e dichiarato.

E giova parimenti rilevare che non curò di accertare gli antichi voluti censi e di compilare l’elenco dei censuari come coil capo 4° della stessa ordinanza Serpieri si era disposto.

Ben vero però nei suoi verbali constatò che nè il Regio Demanio nè il Comune gli fornirono titoli comprovanti l’esistenza e la legale costituzione di censi per le terre promiscue Bosco e Piani della Corona e devesi da ciò inferire che durante l’Amministrazione tenuta dall’ex Commenda di Malta non si sia fatta alcuna concessione del Demanio promiscuo ovvero siano stati soppressi i titoli e i documenti dimostrativi e che di colonie perpetue ed inamovibili in favore di privati mai si siano stabilite o fondate.

 

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CAPO QUINTO

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Usurpazione = Verfica e Conciliazione

 

Ordinanza 17 novembre 1880 e 10 febbraio 1884

 

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Nella divisione del Piano della Corona operata dall’Agente Albanese fra le contrade distaccate per il Comune figura compresa quella denominata Scriselli a l’Agente Campisi incaricato con ordinanaza del 25 aprile 1879 di procedere alla verifica di tutte le usurpazioni esistenti accertava, fra l’altro, che sul Piano della Corona e nella detta contrada il Signor De Leo Vincenzo fu Giovanni da Bagnara occupava abusivamente una continenza di terre aratorie la quale trovasi descritta nei suoi verbali al N.268 per la superfice di are 1401 e per il valore di lire 8851,69.

Rassegnati gli atti delle eseguite verifiche per il giudizio in merito, il Consiglio Comunale di Melicuccà con verbale del 2 novembre 1879 deliberò la reintegra e la quotizzazione delle proprietà comunali usurpate.

Portata la causa con i riti prescritti avanti al Magistrato competente introitavasi alla udienza del 24 maggio 1880 e rinviatasi a quella del 9 giugno successivo per la discussione, il Regio Commissario Prefetto Lamponi con ordinanaza pubblica il 17 novembre dello stesso anno rigettava la domanda di reintegra del Comune e tutte le altre eccezioni degli occupatori ed accordava a questi il beneficio della conciliazione affermativa, riconoscendo lo antico e pacifico loro possesso e le migliorie fiscae vinctae dei terreni contro il pagamento di congrui canoni da liquidarsi in base al valore dei singoli fondi accertato dall’Agente Campisi meno però per le partite occupate dai fratelli Patamia, Catalano e Sigg: Antonio e Vincenzo de Leo che ritenne, di proprietà libera dei medesimi disponendo come appresso:

Dichiarando impregiudicata dai precedenti giudicati la questione di proprietà dei fondi voluti occupati dai Sigg: Antonio e Vincenzo De Leo, fratelli Patamia e Catalano, ritiene illegale l’operato dello Agente Albanese e quello susseguente dell’Agente Campisi, che contro il risultato degli antichi atti demaniali comprendevono le proprietà dei medesimi nello ambito del demanio Piani della Corona e li mette fuori causa ritenendo le sudette loro proprietà libere fino a quando il Comune con apposita procedura di identificazione fatta in loro contraddittorio non avrà dimostrato che i sudetti fondi fan parte del precennato Piano della Corona.

Incaricato l’Agente Demaniale Cav: Nicodemo del Pozzo a liquidare i canoni e sperimentare le conciliazioni completava nell’Agosto 1885 le disposte operazioni e i relativi atti approvati dal Consiglio Comunale con delioberazione del 9 luglio 1884 e 15 agosto 1885 venivano omologati dal Regio Commissario con due ordinanze l’una del 27 marzo 1877 (nota di chi trascrive: leggasi 1887; c’è un evidente errore di proto.) e l’altra del 18 giugno 1890 approvate dal Re la prima con decreto del 24 aprile 1887 e l’altra e l’altra con decreto 20 luglio 1890.

Ma l’errore giudiziario in cui si cadde per i fondi occupati da Patamia e DeLeo aveva prodotto penosissima impressione suscitando pubbliche querele e lamentanze.

Esso avrebbe legittimato lo spogliamento arbitrario delle proprietà assegnate al Comune nella divisione con il Regio Demanio ed il Comune di Melicuccà avvalendosi del diritto riservato al Comune con la detta ordinanza del 17 novembre 1880 deliberò il 29 dicembre 1883 di procedersi alla identificazione dei sudetti fondi in cotraddizione delle parti interessate per accertare se facciano parte o no del demanio Piano della Corona attribuito ed accantonato al Comune.

Il Regio Commissario Ripartitore, Prefetto Tamaio, considerato che l’istanza del Comune stava in relazione al dispositivo dell’ordinanza 17 novembre 1880 e che a questa in via istruttoria potevasi e dovevasi dare esecuzione con provvedimento del 10 febbraio 1884 ordinava:

“Che senza pregiudizio della quistione e salve sempre le deffinitive provvidenze in merito alla stessa si proceda con la scorta deglia atti demaniali antichi e con il riscontro degli atti posteriori fin oggi in contradittorio delle parti interessate alla identificazione dei demani comunali di Melicuccà denominato Bosco e Piano della Corona e si accerti se le proprietà possedute in quella continenza di terra dal Sig. Vincenzo De Leo fu Giovanni e dai Signori Patamia Antonio e Carmelo e dai Signori Catalano facciano parte integrale di detto demanio e siano state occupate illegittimamente ovvero sono proprietà libere private di loro esclusiva pertinenza.

L’agente Demaniale Nicodemo Cav. Del Pozzo assistito da un perito e da tre indicatori che nominerà di ufficio, qualora le parti, fra giorni otto dall’intimazione concorderanno nella scelta degli stessi resta incaricato dei relativi lavori di identificazione osservate tutte le altre formalità di legge”.

 

 

ESECUZIONE DI DETTA ORDINANZA

 

Tutti i premessi fatti, nell’ordine storico dei tempi e delle alterne vicende delle gravi contese dibattute in diverse sedi e per oltre mezzo secolo tra Comune e Pubblico Demanio e fra questi insieme contro gl’invasori ed occupatori delle proprietà demaniali promiscue spiegano l’origine, la natura e l’entità della presente controversia; e gioveranno molto a chiarire ed illustrare le diverse quistioni di diritto e di fatto che si collegano nella disposta identificazione e verifica del Piano della Corona, e delle terre abusivamente occupate in contrada Nocelleto e comunemente Scriselli, del fu D. Giovanni De Leo da Bagnara e possedute oggi illegittimamente dal figlio Sig. De Leo Vincenzo che persiste a contrastarle al Comune di Melicuccà cui spetarono ed appartengono.

Premettiamo, ed è bene sapersi, che riferendosi l’ordinanza 10 febbraio 1884 anco ai fondi occupati dai fratelli Patamia si riconosce la necessità e l’utilità di separare l’uno dall’altro procedimento poichè l’usurpazione Patamia occupa porzione nella contrada Vroce Taverna cha fa parte del demanio Bosco e nella divisione fu assegnata al Comune e l’usurpazione De Leo occupa porzione della contrada Nocelleto=Scriselli che fa parte del Piano della Corona ed era stata nella divisione ugualmente distaccata per il Comune.

L’una è stata migliorata ab antico e nell’altra non si operarono migliorie.

I due illegittimi posessi avevano quindi diversi caratteri anche per la loro natura ed essenza e per ragioni di località, e diversi dovevano essere i criteri nell’eseguire la disposta identificazione e verifica, tanto più che i signori Patamia fin dall’inizio degli atti intesero di riconoscere il diritto del Comune, coime di fatto lo hanno riconosciuto invocando il beneficio della conciliazione affermativa stante l’antichissimo possesso e le notevoli migliorie esistenti fisse al suolo; beneficio che fu accordato contro il pagamento del canone imposta delle annualità arretrate e delle spese tutte del procedimento il quale è stato omologato ad Regio Commissario demaniale ed approvato sovranamente.

Contro Catalano cui riferiscesi anche la citata ordinanza del 10 febbraio 1884 allo stato non si è trovato luogo a procedere, sia perchè a carico del medesimo lo Agente Campisi mai verifcò alcuna usurpazione, sia perchè le terre possedute dal Catalano trovasi in contrada Cavallina la quale non fu compresa nella divisione eseguita dall’Agente Albanese come più ampiamente si spiegherà appresso a proprio luogo.

Il presente procedimento in conseguenza versa esclusivamente su le usurpazioni dei nominati Signori De Leo Vincenzo fu Giovanni e De Leo Comm: Antonio fu Vincenzo da Bagnara contro i quali si sono spiegati gli atti riguardanti la disposta verifica ed identificazione, con tutte le ritualità prescritte.

I nominati occupatori Signori Deleo con atto di usciere del 2 luglio 1898 notificato nell’Agenzia demaniale di Melicuccà dichiaravano: “aver ricevuto con sorpresa l’avviso di presentarsi ed assistere alla verifica di fondi di loro proprietà e protestavano che ogni istanza di reintegra in loro danno erra stata già respinta dal Consiglio di Prefettura ed erano illegali ed arbitrarie tutte le operazioni che si andavano a compiere sia per carenza del diritto del Comune, sia per erronee limitazioni e denominazioni con riserva di produrre documenti e proporre eccezioni in loro difesa avanti a chi di legge”.

Iniziati i lavori di campagna con il verbale 3 luglio 1898 da parte del Comune si dissero fuori di luogo, assurde e mal fondate in dritto ed in fatto tutte le sudette proteste ed eccezione e s’insistè per darsi piena esecuzione all’ordinanza del 10 febbraio 1884.

L’Agente Demaniale nell’ordine dei propri poteri ed in linea istruttoria ritenne: Che con l’ordinanza 17 novembre 1880 le terre Nocelleto dette comunemente Scriselli ed occupato dai Sigg: Deleo sono state condizionatamente dichiarate di proprietà porivata, cioè solo fin quanto il Comune con apposita procedura di identificazione non avrà dimostrato che facciano parte del Demanio Piano della Corona; sicchè riservò pieni ed integri al Comune il diritto e l’azione di far valere le proprie ragioni.

Che il Consiglio di Melicuccà con deliberazione del 29 novembre 1883 fece formale istanza per tale identificazione ed il Regio Commissario demaniale con provvedimento del 10 febbraio 1884 la dispose come ragione.

Che nessun giudicato esiste da cui risulti che sia stata rigettata ogni istanza di reintegra del Comune e che se gli occupatori De Leo mostrando d’ignorare gli ordinamenti e le giurisdizioni demaniali intesero dire a valersi della citata ordinanza 17 novembre 1880 attribuendole al Consiglio di Prefettura, essi invocano un titolo il quale depone contro le loro proteste ed eccezioni e le cancella. Che il provvedimento del 10 febbraio 1884 è stato legalmente notificato agli occupatori De Leo nel loro domicilio come dagli atti per averne conoscenza e per ogni altro effetto di legge.

Che con bando 28 ottobre 1897 ai sensi degli articoli 16,17 e 18 delle Istruzioni 3 lugliu 1861 gli interessati De Leo furono diffidati ad elegere il loro domicilio nel Comune di Melicuccà dove si doveva procedere e non avendosi aderito erano valide ope legis le intimazioni fatte nel Comune e presso la Cancelleria della Pretura Mandamentale di Seminara.

Con altra citazione per bando del 18 giugno 1898 i signori De Leo, fra gli altri, sono stati legalmente diffidati do accordarsi con il rappresentante del Comune su la scelta del perito e di tre indicatori locali che noi per il caso non avessero curato di farlo nel termine stabilito, nominavamo di ufficio fissando il giorno e l’ora dei disposti lavori; sicchè di tutti gli atti regolati secondo i riti e nei termini prescritti e del provvedimento 10 febbraio 1884 che sta in relazione a mette capo all’ordinanza 17 novembre 1880 gli occupatori De Leo ne aveano avuto già previa e legale conoscenza, ed era semplicemente ingenua e assai sorprendente la loro dichiarazione quella cioè di avere ricevuto con sorpresa l’avviso di presentarsi ed assistere alla verifica di fondi di loro proprietà/

 

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Coerentemente a tutte queste considerazioni di dritto e di fatto si sono proseguiti e compiuti gli studi ed i lavori istruttori disposti con l’ordinanza 10 febbraio 1884 dopo di aver informato il perito e gli indicatori delle controversie e circostanze che han dato origine alla presente quistione per loro opportuna norma e per potere operare con piena cognizione e coscienza ricordando loro i giudicati, i catasti, i Cabrei e tutti gli altri titoli ed atti demaniali da tenere presenti.

Trattavasi di ricercare ed accertare, con prove autentiche e con studi tecnici positivi se le terre Nocelleto distinte con la speciale denominazione Scrisella occupate dai Sigg: De Leo e le altre denominate Cavallina o Cancelluzzo ed occupate da Catalano oggi dagli eredi, sieno propietà libera privata ovvero di natura demaniale e appartenente al Comune di Melicuccà qual parte integrale del Demanio Piani della Corona.

L’ordine quindi, il concetto, i mezzi ed il fine di tutte le ricerche ed operazioni riassumevansi nei seguenti quesiti:

I) Quali limiti l’Agente Demaniale Albanese abbia seguito nell’identificazione e divisione del Piano della Corona di cui all’ordinanza 16 febbraio 1811 del Commissario del Re Angelo Masci e nelle posteriori di Grisolia e Sertieri l’una del 17 dicembre 1861 e l’altra del 18 febbraio 1870, con le quali sciolte le promiscuità esistenti venne determinata la quota da attribuirsi al Comune e quella da assegnarsi al demanio dello Stato.

II) Se le terre occupate dai Signori De Leo si trovano comprese fra i limiti del Piano della Corona descritte nei verbali dell’Agente Albanese e siano state accantonate al Comune nella divisione e in testa a chi figurano progessate nel vecchioi e nel nuovo catasto e sotto quale denominazione.

III) Se le terre ammesso che siano state incluse e valutate nella divisione e accantonate al Comune siano identiche a quelle verificate poi nel 1879 come usurpazione dell’Agente Demaniale Campisi e riportate al n. 268 del suo verbale.

IV) Se l’Agente Ripartitore Albanese nel dare esecuzione alle ordinanze di scioglimento di promiscuità abbia seguito esattamente i limiti descritti negli antichi atti demaniali e sui catasti o li abbia oltrepassati, invadendo proprietà private, e quali e sotto quali enominazioni li abbia ristrette, escludendo parte del demanio promiscuo Piano della Corona, e quali da chi oggi sono possedute e a chi figurano intestae nei Catasti.

 

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Sul I e II QUESITO

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Identificato il Piano della Corona risultò luminosamente provato:

Che la intera continenza di detto Demanio limita a sud con l’antico fossato o strada cicinale Ziia, che divide la contrada omonima, in linea quasi perpendicolare per la percorrenza di metri 960 partendo dall’angolo sud est dove il detto fossato di Ziia s’innesta alla strada pubblica, detta Croce del Monte o delle Chiuse sino all’angolo sud ovest dove lo stesso fossato mette capo alla antica e storica via riconosciuta generalmente con il nome delle Regie Poste.

Ad Ovest per la percorrenza di m. 2010, con la medesima strada delle Regie Poste, partendo dall’angolo sud=ovest ove mette capo il fossato Ziia e proseguendo sempre su la direzione verso nord=ovest e propriamente sino al punto in cui incrociasi la conrotile Melicuccà=Bagnara la quale segue e tocca una antica strada vicinale della S.Gregorio.

A Nord, ripiegando a destra e discendendo verso Est con la detta vicinale S.Gregorio di cui sussistono tuttora tracce per la percorrenza di m. 705 fino all’angolo inferiore nord Est, dove unisconsi ad un’altra via pubblica, separando la contrada Nocelleto o Scriselli inclusa nella divisione dell’Agente Albanese dai castanei cedui denominati comunemente S. Gregorio posseduti oggi dai fratelli Sigg: Carmelo, Vincenzo, Giovanni Domenico Spina un tempo Carmine e Gaetano Spina e Carmine Falvetti.

Ad est con i fondi di detti fratelli Spina, un tempo Garzo, Napoli ed altri denominati Grillara e da quelli denominati Locco di Arena = Armata e altri modi posseduti oggi dai signori Patamia e De Leo da Bagnara e che un tempo appartenevano al Signor Giuseppe Romeo cui erano provenuti dall’antico Collegio di Scozia come avanti si è spiegato.

Che a questi limiti con gli allegati atti a illustrare con tutti i dettagli desunti dalla campagna rispondono quelli eseguiti dall’Agente ripartitore Albanese e accennati nella sua pianta topografica e negli atti di scioglimento dipromiscuità e propriamente nel verbale del 7 agosto 1873 fol. 53 dove leggesi: “Confina per mezzogiorno col fossato che lo separa del Bosco già valutato, per occidente con la strada della Regia Posta, a settentrione con altra strada che lo divide dal fondo dei Signori Spina, un di falvetti Carmine e per oriente un fondo che prima era di Falvetti e Monastero si Sant’Elia ora Signori Spina, poi un fondo degli erede Rosario Garzo e nel resto fino al fossato quello che prima era di Romeo Giuseppe ed ora ai Signori De Leo e Patamia si appartiene”.

Tali limiti segnati degli atti dall’Agente Albanese sebbene manchino di qualche forma descrittiva pure indicano abbastanza i contermini del Piano della Corona, da esso diviso e riescono, nel confronto da quelli da noi accertati, sufficientemente chiari e conformi per precisarne e stabilirne la identità.

Che il Piano della Corona, così circoscritto comprende le contrade distinte con le parziali denominazioni di Paluci o Polluce, Persicara e Scriselli, delle quali la prima è stata consegnata nella divisione al Demanio dello Stato e la possiede oggi il signor De Leo Vincenzo fu Giovanni cui l’ha ceduto e le altre due spettarono al Comune, cioè Persicaro occupata e messa a castaneti cedui da casa Spina cui fu conceduta e censita, e Scriselli in parte libera e in parte usurpata.

Che le terre possedute oillegittimamente dai signori De Leo Vincenzo e Antonio, per le quali si procede, giacciono e restano fra i limiti sopra descritti del Piano della Corona e fanno parte integrale delle sudetta contrada Scriselli, accantonata al Comune.

Che le medesime sono ripartite nel catasto provvisorio di Melicuccà all’art.357 Sezione D. n. 46 e 47, porzione con la denominazione di Nocelleto e in testa al Regio Demanio per la commenda di Melicuccà e nell’antico catasto del 1742 figurano come trovasi riportate nella Relazione di perizia che fa parte integrante della presente.

Tutto ciò prova l’origine, la natura demaniale, la provenienza e l’avvenuto spogliamento tanto più che nessun atto autentico, anteriore o posteriore alla ripartizione dei demani si è trovato presso i pubblici Archivi e nessun altro titolo di particolare acquisto ci è stato esibito il quale giustifichi la pretesa legittimità del possesso e patrimonialità.

Che le terre Scriselli occupate dal Sig. De Leo Vincenzo offrono caratteri tali doverle ritenere in origine livere e aperte e in parte frattose, e in parte aratorie; e che su di esse non vi esistono nè tracce di vecchie colture che facciano presupporre almeno un possesso antico e un dominio qualsiasi utile o diretto, nè altre recenti migliorie infisse al suolo meno una piccola casetta rurale che non presenta segni di vetustà e meno di una piccola porzione su l’angolo nord est messa a castaneto ceduo da due anni per la quale miglioria il rappresentante del Comune opportunamente osservò di essere stata tentata dal possessore in epoca posteriore alla procedura di verifica e in mala fede e allo scopo di acquistare diritti colonici superficiali.

A queste constatazioni fondate sopra atti autentici e su le risultanze degli studi e dei confronti della campagna si aggiungono le deposizioni giurate degli indicatori Capria, Calogero, Burgè e Tripodi che ne confermano la verità.

Essi concordemente hanno dichiarato, che a loro memoria e per generale tradizione degli avi la contrada Scriselli forma parte integrale del demanio promiscuo Piano della Corona e vi restano in essa comprese le terre detenute oggi dal Sig. De Leo Vincenzo le quali sono state arbitrariamente usurpate dal fu suo padre Giovanni De Leo da Bagnara in epoca che non ricordano precisamente ma calcolano da circa sessanta anni.

Che le ricordano terre libere su cui i cittadini usavano del pascolo senza ostacoli e impedimento come beni comunali facenti parte del Piano della Corona.

Che di questa usurpazione come di tutte le altre perpetrate in danno del Comune, il popolo di Melicuccà mosse sempre vive lagnanze e maggiormente quando sciolta la promiscuità e accantoinata al Comune la contrada Scriselli a compimento della sua quaota, e verificata dall’Agente Campisi le avvenute usurpazioni apprese che con l’ordinanza 17/11=1880 le dette terre occupato dai Signori De Leo erano state dichiarate di privata proprietà sino a nuova identificazione e verifica.

Che tutto in territorio di Melicuccà non trovasi altra contrada omonima Scriselli da potersi o cambiare o confondere in tutta la circoscrizione del Demanio comunale in esso Piano della Corona mai vi esisterono fondi patrimoniali o che tali fossero stati dal popolo riconosciuti e riguardati.

Queste testimonianze rese in parte per conoscenza propria e diretta, in parte attingendole dalle tradizioni degli avi non avrebbero isolatamente un positivo valore poichè le semplici dichiarazioni degli indicatori nei procedimenti istruttori demaniali non costituiscono giuridicamente titolo sufficiente attribuitivo di diritti e di usi ma però essetrovano un esatto riscontro in tutti gli atti autentici precennati e rispecchiano tutte le particolarità di fatto desun- ..................

 

 

 

(Il documento originale in nostro possesso, costituito da 49 cartelle dattiloscritte, è incompleto)

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